di Fiorello Cortiana
Bene ha fatto Franco Carlini a non fermarsi alla constatazione che la questione dei “nullafacenti” sollevata da Pietro Ichino sia finita nel nulla e, partendo dalla “motivazione al lavoro”, a proporre una riflessione più profonda sull’organizzazione della produzione che sta cambiando insieme alla produzione e agli stessi prodotti.
E’ possibile pensare che la motivazione in un lavoro manuale svolto ad una catena, non costituisca un fattore decisivo per la quantità e la qualità dei pezzi che da quella catena usciranno. Toccherà a sorveglianti e capireparto esercitare un controllo sociale e tecnologico e agli operai l’esercizio di conflitto sociale e rinegoziazione sindacale dei tempi, piuttosto che l’incuria personale fino al sabotaggio. Nella situazione odierna, dove la produzione di valore è sempre più immateriale, il lavoro cognitivo e relazionale ha nella motivazione un fattore decisivo per la sua qualità, quindi diventano centrali i fattori che creano un ambiente normativo e di organizzazione del lavoro capaci di favorire motivazione e capacità creativa. Se nel modello di produzione materiale/industriale l’alienazione è il prodotto della riduzione a merce del lavoro umano, ma è un problema dei lavoratori, nel modello di produzione creativa/cognitiva che sta prendendo corpo l’alienazione diventa un problema per l’efficacia del modello stesso.
Se oggi riconosciamo la questione della conoscenza come un diritto da difendere e da esigere, se la riconosciamo come questione costitutiva e non settoriale, se riteniamo necessaria una nuova alleanza tra la dimensione biologica e quella antropologica, tra sapere e sapienza, ciò è dovuto in particolare a quella rete inclusiva di apprendimento/produzione
costituita da hacker e smanettoni e dalla loro educazione alla libertà e alla solidarietà. Proprio le esperienze e le comunità dei “pinguini” ci segnalano la necessità di fare i conti con una nuova forma di produzione: la conoscenza e la sua natura costitutiva dentro alla rete. Qui facciamo i conti con la cultura e la pratica del dono e della condivisione, dell’uso produttivo del tempo libero, così come lo sono gli spazi ed i luoghi utilizzati per la produzione cognitiva. La cosa può suonare incredibile e paradossale: l’attività cognitiva risulta produttiva proprio perché sottratta all’organizzazione classica del lavoro.
Per raccapezzarci dobbiamo mutare il nostro approccio e il nostro bagaglio culturale attraverso i quali definiamo il lavoro e la produzione di valore.
Secondo Adam Smith “il lavoro è la misura reale del valore di scambio di tutte le merci”.
Nella teoria del valore, quindi, il lavoro è una misura, un metro, ma già Marx, negli scritti filosofici, sosteneva l’impossibilità di misurare il lavoro, in quanto esso è legato ad una esperienza soggettiva incommensurabile. Si è così passati, per necessità, dalla misurazione del lavoro a quella del tempo di lavoro, considerandole equivalenti. Questa condizione/convenzione è strettamente legata alla modalità di produzione industriale delle merci e alla sua evoluzione come produzione industriale di massa. Dalla bottega artigianale all’officina, dalla fabbrica alla catena di montaggio: i ritmi e i tempi di lavoro erano comunque legati al tempo di produzione manifatturiera delle merci. Questo aspetto quantitativo del tempo, come misura, non ci consente di apprezzare la qualità del lavoro, tanto per l’intensità dello sforzo fisico, che esso contiene, né per l’intensità del contenuto cognitivo. La natura del lavoro, la natura della produzione, sono chiamate in causa in modo non rinviabile dalla dimensione digitale, con la sua pervasività, la sua interconnessione e la sua interazione.
L’innovazione tecnologica nell’era digitale interessa tanto il prodotto quanto il processo. Tutti gli elementi di automazione e di robotizzazione richiedono un investimento particolare nelle funzioni di gestione delle procedure di comunicazione e di comando, la dimensione cognitiva del lavoro diviene così centrale nella produzione di valore. Anche nei processi di innovazione che interessano settori maturi occorre una attività di servizio relazionale nella formazione del cliente, con un suo diretto coinvolgimento nella definizione dell’innovazione che questi processi implicano. Anche qui si rileva una modalità cooperativa nella definizione della relazione domanda/offerta di innovazione. La stessa cosa vale per la medicina, dove una partecipazione consapevole ed informata del
paziente ad una relazione cooperativa risultano più efficaci. Quanta condivisione della conoscenza c’è nell’Omeopatia? Nessuno dei suoi preparati dispone di tutele brevettali, eppure questo sembra spiegarne l’efficacia.
Il lavoro cognitivo mette in discussione i parametri quantitativi quali quelli legati allo sforzo fisico e/o al tempo impiegato: entra in gioco la dimensione soggettiva e la relazione tra sapere e sapienza che in essa si è data. Inoltre è evidentemente esaltata la modalità concorsuale collettiva nella produzione creativa del lavoro cognitivo, con processi di relazione assolutamente diversi da quelli lineari della catena. Se anche nella produzione dei manufatti della catena fordista il lavoro non era meramente esecutivo, ma chiamava il lavoratore a valutazioni, adattamenti, relazioni con altri, nella produzione cognitiva la discrezionalità e la soggettività diventano l’elemento caratterizzante della attività produttiva. Siamo in presenza di uno scarto individuale enorme, a fronte di prescrizioni procedurali che pur si possono definire. La conoscenza e la sua condivisione sono condizioni costitutive per la produzione di valore cognitivo e prevedono l’apertura evolutiva a modalità e a codici espressivi imprevedibili: risulta perciò necessario operare scelte tecnologiche e normative tali da non precludere futuro. Più che nel rispetto della prescrizione occorre lavorare sull’inaspettato: l’errore diventa utile, persino necessario, così come l’infrazione di procedure definite, proprio al fine di sviluppare le soluzioni più efficaci. Il quadro normativo del mondo manifatturiero, basato sulla scarsità delle materie prime, sulla esclusività delle procedure di processo, quali i brevetti, sulla ripetitività delle azioni, costringe e preclude futuro alla produzione cognitiva. Se l’intero sistema normativo è basato sulla scarsità, sulla garanzia di sicurezza per garantire l’esclusività, la trasgressione diventa la condizione necessaria perché un sistema legato alla produzione cognitiva possa definirsi.
E’ più funzionale un quadro aperto che richieda dialogo e contaminazione in luogo dell’esclusività, condizioni per la creatività in luogo della ripetitività, modelli economici e commerciali basati sull’aumento qualitativo e quantitativo del prodotto immateriale condiviso, in luogo del suo consumo ed esaurimento. Gli esempi e le pratiche conseguenti legati alle licenze GPL e ai Creative Commons sono in atto, così come tutto il mondo costituito da interessi sociali, economici e scientifici dell’omeopatia, che non vive, appunto, di brevetti posti sui principi curativi dei propri preparati. E’ così chiaro che la finalità principale del sistema industriale e di ricerca legato agli OGM risiede nella brevettabilità delle sequenze geniche degli organismi modificati e nella tutela delle licenze ad essi collegati. Ne sanno qualcosa gli agricoltori danneggiati, via impollinazione, da inquinamento genetico delle proprie colture, che si sono trovati coinvolti in contenziosi giudiziari per uso illegittimo di organismi geneticamente modificati tutelati da brevetto. Oggi è la sanzione ciò che attende i trasgressori di norme e procedure, al contrario, in un futuro possibile, saranno standard aperti evolutivi e condivisi. Nel lavoro cognitivo risulta straordinariamente produttivo condividere i “trucchi del mestiere”, invece di coltivarli come segreti, quindi occorrono modalità operative e di relazione capaci di valorizzare la condivisione piuttosto che la discrezione. L’accessibilità e la trasparenza relativi ai processi di sviluppo delle soluzioni diventano cruciali rispetto al non detto e alla non visibilità. II mondo non è conoscibile che in base a una certa descrizione, proprio questa diventa oggetto di competizione, di contesa, di concorrenza. Dagli agronomi agli ingegneri il controllo semiotico diventa controllo sociale su/attraverso i processi di produzione. Così nel mondo digitale se parliamo di algoritmi, di stringhe, di “modi” per utilizzarli, come di alfabeti e di grammatiche digitali, ci rendiamo conto della natura costitutiva del conflitto sugli elementi della società della conoscenza. La relazione che, nel corso del tempo, attraverso la descrizione strutturata del lavoro, ha definito un rapporto di dominio, anche simbolico, del sapere tecnico/scientifico sulla sapienza , nel mondo digitale diviene una preclusione di possibili soluzioni a problemi e a necessità oggi imprevedibili ed inaspettati. C’è una preclusione di futuro laddove questa relazione descrittiva diviene un controllo privato ed esclusivo di standard e di protocolli del mondo digitale. Dietro alle soluzioni più efficaci tanto nell’innovazione di processo che di prodotto nella società digitale, della conoscenza e dei servizi, vi è una combinazione libera di potenzialità creative, di organizzazione del tempo e dello spazio del lavoro cognitivo. Questa libera combinazione richiede modelli normativi e strutture organizzative basati sulla condivisione della conoscenza, richiede di riconoscere la cooperazione in rete come mente collettiva, come mente distribuita, richiede di riconoscere la cooperazione come apprendimento relazionale, con libertà di accesso, di espressione, di ricerca. Per questo un sistema territoriale qualitativo: qualità dei servizi, qualità sociale, qualità dell’ambiente, qualità delle infrastrutture ICT, costituiscono una precondizione, un retroterra distrettuale necessario per ogni possibile relazione con distretti virtuali definiti in rete. Per questo è importante anche l’ambiente fisico nel quale uno lavora, la libera organizzazione dei tempi, la possibilità di disporsi alle suggestioni multidisciplinari.
Occorrono garanzie costitutive per queste libertà, occorrono una consapevolezza ed una cultura che le riconoscano come bisogni e che le esigano come diritti. Altroché precarietà, per la flessibilità ci vuole un Welfare che coniughi la libertà di combinazione cognitiva su progetti con la dignità del lavoro, tanto nell’accesso alla conoscenza quanto nelle garanzie previdenziali e nell’incontro tra credito e creatività, qui dove non esistono pratiche di venture capital. Nel lavoro cognitivo come è possibile pensare di ridurre le “partite IVA” a lavoro nero camuffato? La questione va ben oltre la tutela degli “atipici” messa in atto fino ad oggi dal sindacato e richiede un adeguamento profondo.
Ann Mettler è la Direttrice Esecutiva del Lisbon Council for Economic Competitiveness, il network non-profit dedicato a fare dell’Europa “ la più competitiva e dinamica economia basata sulla conoscenza al mondo” entro il 2010, come vuole l’obbiettivo dell’”Agenda di Lisbona” fissata dall’Europa. Ann Mettler al Forum Internazionale annuale dell’IBM, ha reso noto che il 70% dell’economia europea è oggi costituito dai servizi: proviamo a pensare quanta comunicazione, quanta conoscenza, sia in termini di relazioni sociali che di pervasività digitale, sono contenute in quel 70%.
A fronte di questa percentuale occorre osservare che il sistema normativo, le procedure di rappresentanza e di negoziazione del mondo del lavoro, la definizione stessa delle politiche pubbliche, sono ancora l’espressione di un modello economico industriale manifatturiero. Non cambieranno da sole, occorre che dalle filiere della qualità alimentare, alle comunità del software libero e della condivisione della conoscenza un blocco sociale dell’innovazione qualitativa prenda coscienza di sé e agisca. E’ ciò che in forme inedite e contraddittorie sta avvenendo.