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Editoria / Giornalisti tuttofare

Posted by franco carlini su 8 novembre, 2006

Dalla radio al web, i modelli Daily Telegraph e Libé
Anna Maria Merlo

Parigi
La free press sta sconvolgendo la stampa, non solo perché assorbe una fetta importante di pubblicità, in un mercato già in calo per i giornali, non solo perché porta via, in molti casi, dei lettori dei quotidiani a pagamento, ma anche perché – e questa è una novità – i suoi metodi di lavoro stanno ormai influenzando quelli della stampa di qualità.

Due esempi recenti illustrano questa deriva: in Gran Bretagna il Daily Telegraph e in Francia le proposte dell’azionista di riferimento, Edouard de Rothschild, per «salvare» Libération. Si tratta di due giornali molto diversi e che si trovano in situazioni differenti: il Daily Telegraph, quotidiano conservatore, vende 900 mila copie, mentre Libération, giornale di sinistra, sta attraversando la peggiore crisi della sua storia, sotto la minaccia di una chiusura. Ma in queste settimane alle due redazioni sono arrivate delle indicazioni molto simili, che possono essere riassunte in un «mansionario» destinato ai giornalisti che cambia molto il modo di lavorare tradizionale. Come riassumono a Libération, è il metodo del giornale senza giornalismo, quello della stampa gratuita, che detta ormai legge.


Il nuovo direttore della redazione del Daily Telegraph, Will Lewis, vuole cambiare tutto in un quotidiano che vede invecchiare i lettori. Così, dopo l’acquisto della testata da parte dei fratelli Barclay, due scozzesi, ha proposto alla redazione di trasformarsi in un hub, come in un aeroporto. La trasformazione comincia dall’arredamento, che riprende i canoni dell’architettura carceraria: in un vasto spazio di 6 mila metri quadrati, vicino a Victoria Station a Londra, la scrivania del direttore, rotonda, è posta al centro. Di qui partono, a raggio, dei lunghi tavoli, con le postazioni dei giornalisti. Alla punta di ogni tavolo, la postazione radio e tv. L’arredamento della redazione riflette l’importanza data alla produttività dei redattori.

Visto che ormai i lettori vogliono tutto – leggere le notizie sul telefonino al mattino, sentirle alla radio, caricare sul Net le pagine della versione su carta per poterle leggere in metro, partecipare alle chat, vedere le informazioni sulla rete tv ecc., il giornalista deve rispondere a tutte queste esigenze, diventare «multifunzione», per permettere alla testata di sopravvivere. Ogni giornalista dovrà così scrivere articoli per il giornale su carta e per il sito Internet, poi potrà spostarsi al fondo del tavolo per un intervento radio e tv, senza perdere tempo. Al Daily Telegraph, difatti, per fare tutte queste cose ci sono sempre meno giornalisti: in un anno i dipendenti sono stati ridotti del 25%, 100 persone licenziate l’anno scorso e 133 (di cui 54 giornalisti) a settembre.

«La direzione impone dei cambiamenti fondamentali, modifica i contratti dei dipendenti senza nessuna discussione preliminare – dicono alla National union of journalists – chiediamo maggiore concertazione ».
Anche a Libération, Rothschild ha delle idee simili a quelle del direttore del Daily Telegraph. Per ristrutturare il giornale il principale azionista ha proposto un «piano» che prevede grandi cambiamenti nel lavoro di redazione. Per «rifondare» Libération, afferma Rothschild, bisogna «trasformare il suo modo di lavorare». La redazione ha sfidato l’azionista pubblicando (e criticando) su due pagine, il 27 ottobre, i contenuti di questa proposta. Per Rothschild un «foglio» è di 1500 battute, un «articolo» è di tre fogli, una pagina contiene al massimo 1,5 articoli e ogni giornalista deve produrre, in media, un articolo al giorno. I servizi devono venir ridotti a sette, con sette capi-servizio, alla testa dei quali bastano un direttore e un vice. Chi fa l’editing deve «passare» sette pagine al giorno, all’iconografia ogni redattore deve trovare dieci foto al giorno. Fatti i conti: un giornale di 40 pagine, 188 giorni di lavoro per redattore, 7 capi servizio, significa 100 giornalisti (ma potrebbero essere anche meno), cioè 98 di meno di quelli che lavorano oggi a Libération (senza contare chi è pagato a pezzo). Una visione «unicamente contabile e statistica», protestano a Libération.

Cosa diventerebbe il giornale con questi diktat, si chiedono alla redazione, che uccidono la gerarchizzazione delle notizie, le scelte grafiche originali, i tempi lunghi dei reportages e delle inchieste, la ricerca iconografica che è sempre stata una caratteristica di Libé ?
«Un giornalista non può produrre sul solo ritmo di “un articolo in media al giorno”. In ogni caso, non in un quotidiano di qualità», afferma la redazione. La «produttività» diventa anche qui la sola questione che conta, in un’organizzazione del lavoro sul modello della free press, che fa giornalismo in modo molto ridotto (al massimo c’è una breve inchiesta originale a numero), mentre il grosso del lavoro diventa un copia e incolla delle agenzie di stampa.

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