Chips & Salsa

articoli e appunti da franco carlini

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Archive for 9 novembre 2006

L’internet corregge i giornalisti

Posted by franco carlini su 9 novembre, 2006

Sarah Tobias

E’ proprio vero, la rete internet è una minaccia per la carta stampata, perché svela le imprecisioni, gli errori e le fonti di quello che ogni giorno scriviamo, attingendo alla rete. Il lettore infatti, quando dotato di accesso all’internet, può approfondire e verificare quello che i quotidiani e le riviste stampano. Un caso per tutti, recente, illustra come le notizie diventino notizie e anche come si deformino via via, in quel telefono senza fili che è la catena dei media.

Giovedì scorso, dunque, alle 18:10, Radio1 informava che i siti web avevano appena raggiunto la cifra strepitosa di cento milioni. I redattori avevano letto quella notizia sulla Repubblica del mattino stesso, e l’inviato in America di quel giornale molto probabilmente l’aveva letta sul sito della Cnn o vista per televisione in un servizio della stessa rete ( Il protagonista del servizio televisivo era Rich Miller dell’azienda inglese Netcraft, la quale ogni mese, dal 1995, fa delle rivelazioni periodiche dei server e dei domini internet nel mondo. A sua volta la fonte primaria della notizia era un comunicato della stessa Netcraft, che riportava le ultime misurazioni del mese di novembre.

Dunque ripercorrendo all’indietro il percorso della notizia, con un minimo di abilità nell’uso dei motori di ricerca – in particolare Google News – un lettore curioso avrebbe potuto verificare che:

(1) i giornalisti della Cnn, come quelli di Repubblica hanno una grande passione per i numeri rotondi, ma che la soglia dei 100 milioni non era stata affatto superata la notte prima. Infatti al momento del comunicato di Netcraft, il primo novembre, i siti rilevati erano già 101.435.253.

(2) la cosa più nuova era soprattutto il recente ritmo di crescita, dato che nel giro di un anno i nuovi nati tra i siti sono stati ben 27,4 milioni. Il che significa che nel giro di due anni, dal maggio 2004 a oggi, il loro numero è raddoppiato.

(3) I numeri non devono tuttavia ingannare perché dei circa 100 milioni di siti, soltanto la metà sono attivi davvero. Netcraft se ne accorge perché per raccogliere i suoi dati usa un software che automaticamente manda una richiesta di pagina a tutti i domini registrati e si annota quelli che rispondono.

(4) Gran parte della crescita è dovuta ai servizi gratuiti di blog offerti da Google-Blogger, Msn e altri, nonché dai siti delle piccole imprese che ora trovano dei servizi internet e di registrazione dei domini a basso costo (in Italia per esempio Register.it, in America per esempio Godaddy)

Un lettore pignolo, come chi scrive, avrebbe anche notato, nel servizio di Repubblica una data francamente curiosa; secondo il giornalista il «primo timido collegamento fra due computer (venne) tentato negli Stati Uniti nel 1957 da un professore con un nome buffo un po’ da cartoon dei Simpson, il professor Licklider». Niente di tutto ciò: nel 1957 il benemerito J. C. R. Licklider ancora trafficava con i primi minicomputer della Digital, i leggendari PDP-1, riuscendo a farli lavorare in time-sharing, cioè suddividendo il loro tempo tra diversi programmi. Il primo collegamento alla internet sarebbe avvenuto solo 12 anni dopo, nella festa del Labour Day del 1969, tra due nodi universitari californiani, come qualsiasi consultazione in rete confermerà al di là di ogni ragionevole dubbio.

Lo stesso lettore senza dubbio avrà sorriso alla poetica affermazione che Netcraft derivi da Wichtcraft, stregoneria, quando invece si tratta della semplice fusione tra la parola craft, arte, maestria, e net, contrazione di network, rete. Dunque arte della rete, e poca arte linguistica, in chi scrive. Un box infine ci rinnovava per la decimilionesima volta nel luogo comune, falso come molti luoghi comuni, che l’internet «nacque come collegamento tra computer per lo scambio di dati ad uso militare», il che non è vero: militari erano i fondi di ricerca dell’agenzia Arpa del Pentagono, ma l’uso militare, in caso di attacco nucleare, per garantire i collegamenti, era stato solo un «trucco» dei ricercatori per farsi finanziare una ricerca di avanguardia. Esistono al riguardo testimonianze scritte e orali abbondanti.

Questa piccola storia ci conferma che spesso il giornalismo nostrano è assai approssimato e che, altrettanto spesso, l’informazione in rete è più precisa o quantomeno permette il confronto tra fonti, fino ad arrivare ai documenti originari. E’ una possibilità che prima non avevavamo e che dal 1995 è a disposizione di circa un miliardo di abitanti il pianeta. Persino in Africa, dove la rete è vista come un formidabile strumento di rottura dell’isolamento. A chi scrive capitò di assistere, cinque anni fa, in Ghana, a un convegno del popolo Ashanti dove il re esaltava l’importanza dell’internet per lo sviluppo rurale e dove, nella città di Kumasi, gli internet point avevano ormai sostituito i posti telefonici e le copisterie.

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editoriale / Acropoli dei diritti

Posted by franco carlini su 9 novembre, 2006

editoriale

L’impegno è importante e sarà il caso di prepararlo al meglio. Nel corso del recente Forum di Atene dedicato al governo dell’internet la sottosegretaria Beatrice Magnolfi ha detto che nella primavera prossima uno dei temi più caldi della rete attuale e futura avrà una tappa internazionale in Italia. E’ il problema della “Carta dei diritti dell’internet” che la delegazione italiana ha sostenuto con buona convinzione, soprattutto grazie agli interventi di Stefano Rodotà, Fiorello Cortiana, Vittorio Bertola. Non è tuttavia una questione semplice: si tratta infatti di garantire anche nello “spazio pubblico più ampio e partecipato mai conosciuto dall’umanità” (Rodotà) l’insieme dei diritti già acquisiti, insieme rimodellandoli nel nuovo ambiente, che è fatto di tecnologie trasversali e globali, senza frontiere e di pratiche sociali del tutto nuove. Alcuni peraltro obbiettano a questa esigenza: non sono già le Nazioni Unite e i trattati internazionali pieni di richiami generosi e magari utopici ai diritti dell’umanità in generale, e poi a quelli dei bambini, delle donne, dei diseredati, dei senza parola? Davvero siete convinti che serva una nuova carta quasi costituzionale, un Bill of Rights, e che questa, quando mai approvata e siglata, possa essere efficace?

Nessuno ovviamente si illude, ma il valore delle dichiarazioni solenni non è mai consistito nella loro diretta efficacia, quanto nei processi sociali e possibilmente dal basso che esse possono attivare e potenziare. In questo caso poi, è del tutto chiaro che le formulazioni buone possono discendere solo dal lato luminoso della rete, che è largamente maggioritario, in contrapposizione al suo lato oscuro. Il quale non è fatto tanto di terroristi, pedofili e commercianti di droga e di uranio arricchito, quanto dalle reazioni abnorme e retrograde che tutti i governi hanno la tentazione di praticare, di fronte a un fenomeno che, da 15 anni a questa parte, scuote gli equilibri esistenti. Per non dire dei nuovi recinti, enclosure, che molto mondo del business va erigendo, con lo scopo del tutto evidente di ricondurre ai precedenti modelli economici quanto invece va scappando da tutte le parti verso orizzonti di condivisione e persino di altruismo non profittevole.

E’ anche evidente e obbligatorio che un tale percorso non soltanto deve essere dal basso, ma internazionale e le voci di Atene lo erano e anche questo dà ottimismo.

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Tim Berners-Lee / Il web è una scienza

Posted by franco carlini su 9 novembre, 2006

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lettori Mp3 / Al posto della mela

Posted by franco carlini su 9 novembre, 2006

Quale lettore di musica portatile regalare o regalarsi per Natale? L’ennesimo iPod? Mica tutti sono come la fanatica Roberta, marketing manager in Milano, che di quegli oggettini della Apple ne possiede addirittura quattro, ma che ogni giorno deve picchiarsi con l’indiavolato software di Steve Jobs che non le rende facile trasferire un brano dall’uno all’altro. Altri cominciano a battere strade e prodotti diversi, sfuggendo al fascino dell’icona, così di moda da essere troppo di moda. Un sito specializzato in questa cose (www.mp3newswire.net/stories/6002/ipod-killer-christmas2006.html) ha analizzato 29 prodotti concorrenti, di solito chiamatio gli iPod Killer, di ognuno esaminando i pro e i contro. Emergono dal gruppo almeno tre nomi: Microsoft, Creative e Sandisk. La casa di Redmond va alla prova del mercato con il suo Zune di imminente debutto, ma sul quale si addensano molti dubbi. E’ chiaro comunque che Microsoft ci punta molto e che moltissimo investirà per promuoverlo. Lo stesso fece con la sua console da videogiochi Xbox. Creative concorre da tempo, ma finora con un successo limitato al 10 per cento del mercato; ora propone una versione potenziata del suo Zen V Plus che offre 8 gigabyte di memoria e un sintonizzatore radio. Le stesse capacità di memoria sono garantite dal più recente Sandisk Sansa e280; questa azienda è uno dei maggiori produttori delle memorie flash usate in molti di questi lettori e ciò le permette una politica di prezzi assai aggressiva, sì che su Amazon.com il modello viene venduto a soli 180 dollari, rispetto al prezzo base di 250 dell’iPod Nano o del fratello maggiore da 30 GTb, con monitor per video e immagini. La dimensione di 8 Gb corrisponde a 128 ore di ascolto di musica o, se si preferisce, a 2000 brani in formato Mp3. Se si usa invece il formato WMA (Windows Media Aud

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Allarme assuefazione per i malati del web

Posted by franco carlini su 9 novembre, 2006

Una ricerca californiana suggerisce che una percentuali del popolo della rete, navighi troppo, diventando dipendente e sviluppando una vera e propria patologia. Riemergono vecchie paure riguardo alle tecnologie digitali, che trascurano la faccia sociale e positiva del problema

Patrizia Cortellessa

Malati da web? Sembrerebbe proprio di sì, stando ai risultati del recente studio condotto dalla Stanford University School of Medicine, in California, sui comportamenti delle comunità onlineamericane. I risultati delle interviste telefoniche, condotte su un campione di 2.581 utenti e realizzate nella primavera ed estate 2004 da ricercatori americani, sono stati pubblicati sul numero di ottobre di “Cns Spectrums: The International Journal of Neuropsychiatric Medicine“. Sorprendono e, soprattutto, fanno riflettere.

Secondo il rapporto uno statunitense su otto ( il 12,5 per cento) confessa di non riuscire a fare a meno del web per più di qualche giorno; il 9 per cento cerca di nascondere la propria debolezza, vergognandosene. Come per ogni dipendenza, i cui effetti in questo caso vanno dalla trascuratezza del proprio aspetto fisico a quello della salute, c’è chi vorrebbe smettere o, almeno, diminuire il dosaggio (12 per cento) sfuggendo all’assuefazione.

“Spesso ci concentriamo su quanto sia meraviglioso questo mezzo, e come la sua efficienza semplifichi le nostre vite …” afferma lo psichiatra Elias Aboujaoude autore dell’indagine, che aggiunge: “ma dovremmo iniziare anche a valutare gli effetti collaterali che provoca su alcune persone”. Vediamo allora queste percentuali così sorprendenti: il 68,9 per cento degli intervistati accedono alla Rete con regolarità; il 12,4 collegato più a lungo di quanto si era prefissato; il 12 riconosce di aver bisogno di un periodo di pausa da Internet. Ma quello che preoccupa gli studiosi è specialmente quell’8,2 per cento di popolo web che utilizza Internet per sfuggire dai problemi quotidiani e alla depressione, il che richiama alla mente il rapporto dell’alcolista con la bottiglia. Un 5,9 ammette altresì che la vita virtuale ha minato i rapporti con le persone amate. In realtà il problema della dipendenza da web non è una vera e propria sorpresa, ma una tendenza che negli anni potrebbe però tramutarsi in un vero problema sociale. In Olanda nel luglio scorso è stata inaugurata la prima clinica per hard core gamer.

“Non un disordine mentale clinico ma una situazione da tenere sotto osservazione”, conclude Elias Aboujaoude, ricordando ancora che negli Stati uniti è in crescita il numero di coloro che si rivolgono allo psichiatra a causa del malsano rapporto con il web. Aggiunge anche, peraltro, che c’è disaccordo tra gli studiosi se l’uso problematico dell’Internet sia un fenomeno patologico distinto o semplicemente un’espressione di altre patologie come la depressione o il disordine ossessivo-compulsivo.

Proprio qui stanno gli interrogativi, anche scientifici: se una persona va ossessivamente al cinema o passa il suo tempo a leggere e rileggere i Promessi Sposi, questo senza dubbio è indice di un problema di quella persona e non significa certamente che il povero Manzoni scateni della patologie. E del resto, un po’ per moda, un po’ per la vocazione degli psichiatri americani a classificare tutto nel librone delle patologie, non è la prima volta che l’uso della rete o dei videogames vengono trascinati in questa polemica. E’ successo fin dalla metà degli anni ’90, quando l’Internet esplose come fenomeno di massa. Certamente la macchina computer e la macchina da videogiochi, tipo Game Boy hanno una grande attrazione per i soggetti che abbiano difficoltà di relazione con gli altri; da un lato permettono di fuggire dalle situazioni di tensione, rifugiandosi in un altro mondo (lo si può fare anche chiudendosi in camera a guardare il soffitto, ascoltando musica con le cuffiette, immergendosi nella lettura); dall’altro offrono comunque una qualche parvenza di relazione con gli altri, anche se lontani e anche quando si interagisca soltanto con un software. Possono diventare compulsivi, ma anche, se ben usati, avere una funzione di sollievo e persino terapeutica.

Nello stesso tempo sembra definitivamente caduta l’idea che l’Internet comporti automaticamente isolamento: soli e artistici davanti al computer. Di fatto, segnalano in molti, c’è il lato luminoso della rete, ovvero la possibilità che essa offre di allacciare o recuperare relazioni sia con persone che prima non si conoscevano, sia con amici fisicamente lontani o che si erano persi di vista. Anzi la rete, così come i messaggini sul cellulare, non sono affatto in contrasto con il faccia a faccia: servono per darsi appuntamenti fisici e consentono un dialogo talora più diretto di quello verbale: quante dichiarazioni d’amore o comunicazioni di rotture stanno avvenendo per questi canali, da parte di un popoli di timidi e insicuri? Più invadente, ma non per questo patologica, è semmai la crescente diffusione della posta elettronica che arriva sul cellulare o su quegli oggettini da tasca chiamati Blackbarry, assai di moda tra i manager e le managerini. Squilla la posta, sull’apparato sempre acceso, e sollecita insieme la curiosità come l’ansietà. Spegnere, spegnere, disconnettere è la ricetta, talora più difficile che smettere di fumare.

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Microsoft lo preferisce blended

Posted by franco carlini su 9 novembre, 2006

La casa di Bill Gates si allea realisticamente con una parte del mondo Linux, indicando un mondo del software né monolitico, né polarizzato, ma semmai eterogeneo, dove il suo software, ben certificato, sia ancora centrale e di garanzia per gli utenti

Franco Carlini

«Se non puoi batterlo, accordati con lui» è vecchia regola delle guerre e degli affari che la Microsoft di Bill Gates e Steve Ballmer segue da tempo, con tranquilla empiria. L‘accordo che la casa di Redmond (non di Richmond, come questo giornale ha scritto nei giorni scorsi!) ha disegnato con un suo storico avversario, la Novell di Provo nello Utah, risponde a questa regola aurea e si inserisce in una linea di condotta meno presuntuosa e più aperta che Microsoft va da tempo praticando.

Novell è una delle aziende di software che trascinò la Microsoft davanti alle giurie antitrust in America e in Europa (una sua causa è tuttora pendente), ma l’accordo quadro della settimana scorsa si riferisce a un altro terreno di conflitto, quello tra il mondo dei software proprietari, come Windows e Office di Microsoft, e i software a sorgente aperta (Open Source) come Linux e i suoi derivati. Quel Linux a suo tempo venne definito dai dirigenti di Microsoft come un cancro, nel senso che con le sue regole di distribuzione non profit (la famosa licenza Gpl) distruggebbe il valore della proprietà intellettuale del software. In altre occasioni, e per lo stesso motivo, venne considerato una roba da comunisti. Novell, assai mormone e poco comunista, è una delle aziende che offre il sistema operativo Linux, software di base per i computer, offrendo ai suoi clienti assistenza e personalizzazione; il suo pacchetto si chiama Suse Linux Enterprise, perché discende dall’acquisizione, tre anni fa, della Suse, una delle aziende che per prima cavalcò quel sistema. L’altra grande stella mondiale del firmamento è RedHat, il cappello rosso, che non rientra nel recente accordo e che semmai lo guarda con vera preoccupazione.

I dettagli dell’accordo sono ottimamente descritti da Novell in un’ottima pagina di Faq, Domande e Risposte, un ottimo caso di gestione delle relazioni con il pubblico. In sintesi si tratta di tre livelli di collaborazione: tecnica, legale e di marketing. Sul primo fronte verrà costituito un centro di ricerca comune per garantire compatibilità e interoperabilità tra i due mondi. Su quello del mercato, le forze di vendita delle due aziende saranno in grado di offrire ai clienti soluzioni miste, open e proprietarie, attingendo al portafoglio di prodotti comune. Più significativo è il fronte legale perché affronta uno dei problemi che fino ad ora hanno in parte frenato l’espansione di Linux: molte aziende infatti, pur attratte da quel sistema, hanno paura che esso possa diventare vittime di cause legali da parte dei detentori di brevetti software; famosa al riguardo, anche se ormai finita nel nulla, è la causa che Sco, altra azienda di software, aprì contro Ibm, accusando il colosso del software di offrire una versione di Linux che conteneva dei pezzi di software di proprietà della stessa Sco. In occasione di quella vicenda Microsoft non nascose allora la sua simpatia per Sco e molti anzi sospettarono che ci fosse proprio lei dietro a tanta offensiva giudiziaria. Oggi invece Microsoft e Novell in pratica si scambiano l’una con l’altra una serie di brevetti e così garantiscono ai loro clienti che i prodotti misti da loro offerti non corrono nessun rischio di rivalsa.

Marco Comastri, Amministratore Delegato di Microsoft Italia, ci tiene a sottolineare che «questo accordo è un fatto concreto, in un mercato eterogeneo, e che la chiave di tutto è l’interoperabilità». E c’è ragione di credergli: lui del resto e proviene dalla Ibm dove ha visto il gigante blu progressivamente trasformarsi nel principale promotore di Linux; sa dunque che nessuna egemonia è per sempre e che ogni dominante vedrà continuamente emergere, alla periferia del suo impero, nuovi agili invasori. E’ quello che Gates fece con la Ibm ed è quello che il mondo Linux sta facendo con Microsoft: svilupparsi in una nicchia e poi crescere fino a proporsi come alternativa. A quel punto la saggezza impone che si operi per coesistenza, anziché per guerre di religione.

D’altra parte coesistenza non vuol dire matrimonio né pace duratura: la mossa di Microsoft rompe l’accerchiamento open, ricostruisce un’immagine non arrogante e meno isolazionista di se stessa, ma nello stesso tempo è anche un’idea di riconquista: Comastri, gentile e pratico, non lo dice, ma la decisione di Redmond mira certamente anche a dividere il mondo Linux tra quelli che saranno certificati Microsoft e quelli che no, tra quelli che stanno sotto il cappello Ibm, quelli di RedHat e quelli free e alternativi come il grande sognatore dell’Open Source e della sua «licenza pubblica» la Gpl del grande utopista libertario Richard Stallman.

Il fenomeno non è nuovo: certe espressioni culturali, e anche il software lo è, nascono alternative e dal basso, dal mondo degli esclusi e dalle minoranze, che si tratti dei blues o dei jeans a vita bassissima; dilagano per virtù propria e allora vengono scoperte dalle corporation che le fanno proprie, in parte le deformano. E’ il loro successo, ma la sfida si sposta ad altri livelli.

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software / La virtù del virtuale

Posted by franco carlini su 9 novembre, 2006

La parte tecnica dell’accordo tra Microsof t e Novell di cui nel pezzo qua sopra ruota attorno a tre temi, sui quali lavorerà un centro di ricerca e sviluppo comune, ancora da costituire: virtualizzazione, servizi web e compatibilità dei formati. La prima è una tecnica, da tempo in uso nell’informatica, per far sì che una macchina si comporti come un’altra, grazie a uno strato di software interposto tra l’utente e l’hardware. Per esempio un Pc classico può apparire come un Macintosh attraverso un software che, «girando» sopra il sistema operativo Windows, simula l’interfaccia di un Apple. Oppure un computer che ha poca memoria di lavoro può «fingere» di averne di più, «sequestrando» un po’ del disco rigido e trattandolo come una Ram – una memoria virtuale. E’ possibile farlo grazie alla accresciuta potenza dei microprocessori e alla versatilità del software anche se c’è il rischio che il tutto sia più lento. Nel caso di Microsoft e Novell, sarà dunque possibile avere una faccia Windows su macchine Linux o viceversa. I web services sono un terreno che molto preoccupa Microsoft perché molti, per esempio Google, offrono in rete prestazioni applicative come scrivere testi e gestire tabelle elettroniche anche a chi non abbia Word né Excel. Sono destinati a crescere e a diventare robusti: l’idea di Microsoft è di offrirli anche lei, sia pure in qualche modo agganciati al suo sistema operativo Vista, che debutterà questo 30 novembre. La compatibilità dei formati dei documenti è tema che sta molto a cuore ai governi che ormai chiedono a tutti i fornitori di usare degli standard che siano almeno facilmente leggibili e lavorabili anche da chi non usi il software Microsoft; si tratta di un’elementare regola di non discriminazione e di un bisogno di maggiore circolazione dei testi pubblici. La questione è tecnicamente assai complicata, vista l’eredità dei formati chiusi, ma deve essere risolta.

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giornalismo / Nostalgia di impossibile normalità

Posted by franco carlini su 9 novembre, 2006

Un scritto di Furio Colombo sull’Unità di domenica ripropone tutte le questioni di fondo dei conflitti attorno all’informazione. In particolare l’idea, cara a molti editori, che del giornalismo e dei giornalisti si possa fare a meno, perché intanto le notizie arrivano da tutte le reti e perché la loro agenda è tutta proiettata e intrecciata nel gioco con i poteri economici e politici e perciò un giornalismo terza parte non solo è inutile, ma ingombrante. (l’intero pezzo può essere letto su: https://chipsandsalsa.wordpress.com/giornalismi/).

In questa partita i gruppi editoriali si giocano dunque molteplici poste: riduzione violenta dei costi, facendo a meno dei contrattualizzati, e più aderenza alle sensibilità del potere. Secondo Colombo lo sciopero dei giornalisti per il contratto non è più lo strumento adatto e ne approfitta per tirare per due volte le orecchie ai «piccoli, orgogliosi giornali di sinistra che – apparendo accanto alla destra in edicola – si prestano a mimare la normalità democratica» nei giorni di sciopero. Che poi saremmo anche noi del manifesto, diciamolo, che «piccoli» e talora troppo «orgogliosi» siamo, ma «normali» non pare proprio, al punto che da sempre diamo fastidio anche a chi, come il rispettabile Colombo, riesce a immaginare un solo modello di giornalismo, quello che lui, all’americana, chiama mainstream. Effettivamente è tutto un subbuglio, uno squasso, prodotto insieme dalla riorganizzazione dei poteri mondiali e da un progetto di riduzione della democrazia che dilaga un po’ ovunque, e dove la Russia di Putin e la Cina rappresentano solo la versione iperpatologica di questa tendenza. A questa crisi Colombo non ha risposte, né l’abbiamo noi, non almeno quella definita e chiara che molti vorrebbero, e tuttavia una cosa sembra certa: dei giornaloni di cui Colombo sembra avere nostalgia si potrà anche fare a meno, ma le voci di fuori stanno già dilagando in molti altrove.

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