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articoli e appunti da franco carlini

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I due partiti degli anti-partito

Posted by franco carlini su 29 novembre, 2006

Franco Carlini

Vittorio Mete dell’Università di Firenze ha analizzato in un recente articolo scientifico un paradosso che riguarda un po’ tutti i paesi occidentali, che consiste in questo: «da un lato, la democrazia

si estende e si consolida; dall’altro, i cittadini degli stati democratici sono sempre più insoddisfatti

per il funzionamento delle loro democrazie. Si tratta della cosiddetta sindrome del cittadino critico; un cittadino cioè che non mette in discussione il valore della democrazia, ma è insoddisfatto del rendimento del sistema democratico. Tale sindrome, peraltro, non sembra avere una natura passeggera e promette di diventare un aspetto fisiologico della vita democratica». E’ il fenomeno che sta alle radici delle varie esperienze di movimenti della società civile e probabilmente anche del favore raccolto dai leader (almeno un po’) antipolitici, come  

Il testo cui facciamo riferimento si trova sul sito della Società Italiana di Scienza Politica (http://www.sisp.it/sisp_convegnoannuale_paperroom_download.asp?id=501).ed è stato scritto partendo da un’indagini sugli atteggiamenti dei giovani cittadini europei, 8000 dei quali sono stati intervistati nell’ambito del progetto europeo Euyoupart).

Le categorie utilizzate (e sottoposte peraltro a vaglio metodologico critico) sono quelle degli anti-partitici attivi e degli anti-partitici passivi. Entrambi i gruppi hanno un atteggiamento fortemente critico verso la politica e soprattutto verso i partiti, ma si differenziano per le conseguenze che ne traggono. I primi (gli attivi) tendono comunque a impegnarsi politicamente, sia pure in forma invisibile e non tradizionale, nei movimenti come nelle comunità. I secondi invece traducono la loro critica alla politica in disinteresse. Il primo è un antipartitismo da protesta, il secondo da apatia.

Ai giovani intervistati venne chiesto di dire quanto concordassero con la seguente affermazione: « La politica è fatta solo di promesse vuote». La scala dei valori andava dal «fortemente d’accordo» al «fortemente in disaccordo».

I risultati del sondaggio ci dicono alcune cose, una ovvia, che gli «antipartitici passivi»sono più numerosi degli «antipartitici attivi», il che è ragionevole: gli attivi infatti disistimano i partiti, ma credono alla politica e sanno mobilitarsi su opzioni radicali (sia di destra che di sinistra); nei passivi invece sfuma, fino all’indifferenza, la distinzione destra-sinistra. La seconda, a scala europea, dice comunque che l’Italia è tra i paesi europei dove la percentuale di antipartitici è più bassa. Solo il 15,9 su cento, contro il 52,4 dell’Inghilterra e il 31,1 della Germania.

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Google, aria di controllo e di gendarmi

Posted by franco carlini su 29 novembre, 2006

Franco Carlini, il manifesto, 28 novembre

Quanta confusione e quanta ignoranza nel palazzo di giustizia di Milano. I pm di lassù hanno iscritto tra gli indagati due responsabili di Google Italia: non avrebbero vigilato sulla immissione dei video in rete, in particolare su quello delle sevizie a un disabile, in una scuola di Torino. Molti hanno obiettato che essendo milioni i video sparsi per i server in giro per il mondo, un controllo a priori su quanto viene caricato da utenti singoli è impossibile a farsi. Esistono infatti ottimi software per leggere le parole, e sono quelli usati per esempio dalla Cina ma anche dai filtri anti-spam per bloccare i messaggi indesiderati della nostra posta. Ma non c’è software intelligente capace di leggere e interpretare le immagini, estraendone il senso. Se poi dovessero farlo gli umani, ce ne vorrebbero milioni.
Questa è una critica vera ma debole perché accetta l’idea sbagliatissima dei magistrati di Milano che i siti web siano assimilabili alla stampa (visto che «pubblicano») e che dunque i loro titolari sarebbero responsabili, penalmente. Una sentenza valdostana sostenne mesi fa la stessa discutibile tesi. Ma nel diritto, operare per analogia rivela pigrizia mentale e scarsa conoscenza del mondo e in genere porta a errori pericolosi. Comunque l’analogia, per quanto stiracchiata, potrebbe forse valere per i siti d’autore, a carattere prevalentemente informativo, quando non esplicitamente giornalistico, mentre Google Video, così come YouTube, non sono siti, ma piattaforme di rete, servizi web con cui un’azienda privata offre ai singoli utilizzatori la possibilità, gratuita o a pagamento, di depositare in pubblico i loro materiali. Di essi gli autori, e solo loro, devono rispondere. Da tempo del resto si è riconosciuto che gli Internet Provider, i fornitori di connettività e di ospitalità delle pagine, non possono essere chiamati a controllare i contenuti, ma sono solo obbligati a rimuoverli, rivelandone anche gli autori, qualora ci sia un reato, ma solo dopo, non prima. Vale in questo caso la stessa irresponsabilità riconosciuta alle tipografie e alle edicole. Guai infatti se la collettività attribuisse a dei privati il compito di controllare, magari con loro criteri, i contenuti dei libri, delle riviste, dei video su cassette o in rete.
I magistrati di Milano, peraltro, ben esprimono, senza volerlo, il desiderio di controllo sociale che i poteri, tutti i poteri, e i governi, quasi tutti, vorrebbero esercitare verso un fenomeno sociale che oltre a essere tecnologico ha dato parola, voce e video a circa un miliardo di persone che prima non l’avevano. Di fronte alle conversazioni dilaganti per il pianeta Terra, la prima reazione è di spavento e orrore. E ogni espressione negativa o delittuosa (ce ne sono moltissimi in rete, così come nei gabinetti dei treni) offre loro un’ottima occasione non già per difendere i deboli punendo i violenti, ma per limitare la voce di tutti.
«Tira aria di controllo e di gendarmi» nella rete italiana, ha detto ieri il sottosegretario Beatrice Magnolfi, durante un convegno pisano sulla partecipazione civica per via elettronica. Come darle torto?

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