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articoli e appunti da franco carlini

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Gli alberi della conoscenza

Posted by franco carlini su 24 agosto, 2007

 

Quando la tecnologia può essere salvezza. Viaggio nelle foreste pluviali dell’Africa
Nel cuore intatto del Congo, una storia intrecciata fra i signori del legno, satelliti e radio che informano la comunità locale sui loro diritti contro le multinazionali e una certificazione necessaria al mercato

Patrizia Cortellessa

Costa d’Avorio, Gabon, Camerun e Repubblica Democratica del Congo. Vi si trovano i due terzi delle residue foreste intatte dell’Africa e in questo Eldorado si sono aperte innumerevoli prospettive di sfruttamento per molti. Ma a guadagnarci non sono certo le comunità indigene che in quel territorio vivono. Venti milioni di foresta congolese – secondo Greenpeace – sono già state «concesse» – per lo più illegalmene – ai signori del legno. L’ articolo di Michael Hopkin, pubblicato sulla rivista Nature del 26 luglio scorso, (Conservation: Mark the rispect) ci porta proprio nella foresta pluviale del Congo, martoriata da sempre dal saccheggio operato dalle multinazionali, in particolare quelle del legname. Per raccontarci una piccola storia su come la tecnologia, in qualche modo, stia venendo in aiuto a una piccola comunità pigmea. In questa parte di foresta – scrive Hopkin – vivono i Mbendjele, una popolazione di 3 mila persone circa. Da circa un anno l’uso della tecnologia sta permettendo a questi abitanti della foresta di preservare almeno gli alberi più importanti.
Il progetto, avviato un anno fa, spinto da quegli scienziati, tecnici, ma soprattutto attivisti che da sempre si battono contro la distruzione della foresta (e anche contro l’industria del legname in questione), vede in questo caso la «collaborazione» della multinazionale del legno che ha la concessione governativa su quel territorio. La Congolaise Industrielle Des Bos (Cib), che ha deciso di «venire incontro» (atto più che dovuto) ad alcune loro esigenze. Anche perché (o soprattutto?) sembra che sempre più consumatori nel mondo richiedono che il loro legno e la loro mobilia arrivi con tanto di bollo di approvazione del Forest Stewardship Council (o Consiglio per la Gestione Forestale Sostenibile). L’Fsc è l’ organizzazione internazionale non governativa nata nel 1993 per iniziativa di un gruppo di associazioni ambientaliste (tra le quali Greenpeace), industrie del legno, produttori forestali, tecnici forestali che preoccupati per la distruzione delle foreste, volevano passare ad azioni concrete per la loro conservazione.
Ma per farsi certificare dall’Fsc bisogna rispettare alcune regole. Uno dei principi e criteri che le industrie del legno devono seguire è proprio la relazione con la comunità locale. Non c’è bisogno di ricordare che da sempre sono gli abitanti della foresta a pagare il prezzo più alto alle multinazionali del legname. Che arrivano, senza preavviso ma con carte firmate dal governo. Minacciano i villaggi, costringendoli a sottoscrivere contratti-capestro. Promettono scuole, ospedali, infrastrutture, di cui resterà appena qualche tettoia fatiscente. Quando se ne vanno, la foresta è compromessa, attraversata da una fitta rete di strade che la rendono accessibile a ogni invasione.
Finora le popolazioni locali non avevano mai potuto esprimersi sul taglio degli alberi della loro foresta. Almeno in questo caso invece, possono decidere di salvaguardarne alcuni, «segnando» quelli più importanti per la difesa della loro identità . La differenza di importanza fra le varie zone – per esempio quelle usate dai pigmei per la caccia, per riunioni sociali, per le riunioni religiose – viene poi monitorata dall’azienda attraverso l’uso di Gps, i rilevatori satellitari, con un terzo del tempo che occorrerebbe con un tracciato tradizionale. Ma il ricorso alla tecnologia non è una cosa nuova.
L’uso dei satellite per osservare le crisi, ad esempio, si sta diffondendo sempre più. Qualche mese fa il nuovo capo dei Surui, tribù indigena dell’Amazzonia, strinse un patto con Google al quale chiese che Google Earth venisse utilizzato per monitorare i 248mila ettari della loro riserva. In caso di nuove devastazioni ci sarebbe stato così il tempo di una denuncia pubblica.
Il progetto in questione prevede anche una stazione radio per comunità pigmea Mbendjele, per ora ancora in fase preliminare. Attraverso la radio – con quartier generale a Pokola – i Mbendjele riescono a sapere i loro progetti, e come e quando devono segnare gli alberi. Anche se per ora soltanto alcuni programmi-pilota sono stati realizzati, la radio a modulazione di frequenza Na Bisso è riuscita a trasmettere per sei ore al giorno, in radiodiffusione musica e notizie utili alla comunità. Grazie a questo progetto e l’interagire con le comunità locali, dal 2006 intanto la Cib ha guadagnato la certificazione Fsc per una delle cinque zone su cui hanno la concessione. Diverso il discorso per l’altro programma in cantiere: l’apertura di una segheria a Loundoungou, che Greenpeace ha condannato, giudicandola «inaccettabile».

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6 Risposte a “Gli alberi della conoscenza”

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