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articoli e appunti da franco carlini

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Archive for the ‘politica’ Category

Le sinistre frontieres di quel reporter

Posted by franco carlini su 28 agosto, 2007

Il manifesto, pag. 1

«Se avessero preso in ostaggio mia figlia, non ci sarebbe limite alcuno, ve lo dico e ve lo ripeto,all’uso della tortura». Per salvarla ovviamente. D’altra parte, aggiunge, è quello che fece la polizia del Pakistan, in occasione del rapimento del giornalista Daniel Pearl del Wall Street Journal. Per cercare di liberarlo in tempo, arrestarono e torturarono i familiari dei rapitori anche se a nulla servì e il giornalista venne non solo ucciso ma letteralmente fatto a pezzi.
A sostenere la possibilità della tortura, persino di innocenti familiari non coinvolti, è stato di recente Robert Ménard, fondatore e segretario generale di Reporters San Frontières, la Ong internazionale che si batte per la libertà di stampa e di espressione, contro i regimi censori e autoritari.

Quelle cose Ménard le ha dette nel canale radiofonico France Culture il 16 agosto scorso, all’interno di un dibattito sulla gestione trasparente degli ostaggi, insieme ad altri giornalisti. Il registrato è stato riproposto ieri dal giornale online Rue89.com, sempre attento e combattivo. Nell’occasione Ménard sosteneva che a quel punto non è più una questione di idee o di principi, ma di guerra. Dice di averne parlato con la moglie di Pearl (in occasione del lancio del film «A Mighty Heart» di Whinterbottom, su di lei e suo marito) e che «bisognava assolutamente salvarlo e se era necessario prendere un certo numero di persone, prenderle fisicamente, avete capito, minacciandoli e torturandoli»

Ménard ha espresso la sua opinione in maniera problematica, ma senza dubbio una frontiera l’ha voluta passare, che non è quella della libertà, ma quella della disumanità. E non basta a giustificarlo l’orrore del terrorismo sanguinario, né il nobile scopo di salvare delle vite. A prezzo di quali vite e di quali altre disumanità? Più sensati di lui, gli americani contro la tortura sono invece riusciti a far dimettere il ministro della giustizia Alberto Gonzales, mentitore e reticente su Guantanamo e Abu Graib.

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Le spie si danno appuntamento sul web

Posted by franco carlini su 23 agosto, 2007

FRANCO CARLINI

La primizia viene dal Financial Times: le 16 diverse agenzie americane di spionaggio utilizzeranno una rete sociale – un social network – analogo, come struttura e prestazioni,  ai più famosi MySpace e Facebook. Lo ha deciso la Direzione della National Intelligence (Dni), un superorgano che coordina la raccolta delle informazioni relative statunitensi. Il network si chiamerà A-Space, dove la A indica la comunità degli analisti. La mossa è in coerenza con altre scelte di sistemi web da parte dei servizi. Già nei mesi scorsi la Dni aveva installato un servizio analogo al famoso Del.icio.us, che permette di condividere in comunità i link che ognuno ritiene interessanti; e aveva creato Intellimedia, ispirato alla nota enciclopedia online Wikipedia, dove le singole voci possono essere scritte e rieditate da tutti i partecipanti. Naturalmente si tratta di servizi chiusi e riservati agli addetti ai lavori spionistici. Il nuovo A-Space giunge a completare l’opera, nel senso che si dovrebbe presentare come un aggregatore delle informazioni e di punti di vista, anche soggettivi, tra i membri delle diverse agenzie. Queste scelte derivano anche dalla consapevolezza, fattasi più acuta dopo l’11 settembre, che molto spesso le informazioni ci sono, ma non arrivano alle persone giuste: un intreccio di burocrazie e di gelosie le ha rese segregate e poco usabili. Il web è dunque la soluzione a tutti i problemi? C’è da dubitarne, ma esso contiene un difetto e un vantaggio. Lo svantaggio è la sua non sistematicità. Il vantaggio è di essere per sua natura più fluido e meno gerarchizzato, poroso e orizzontale. Il problema generale è quello della diffusione della conoscenza, sia essa scientifica, sociale o spionistica (come in questo caso), quando essa è per sua natura sparpagliata e complessa, anziché ordinata e classificata. In fondo anche Robert Redford, nei «Tre giorni del Condor» passava il suo tempo a leggere romanzi, per cogliere tendenze internazionali ancora sotterranee.

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Enrico Letta si teleannuncia

Posted by franco carlini su 25 luglio, 2007

il manifesto, 25 luglio 2007

FRANCO CARLINI

Ieri alle 16:01, con un solo minuto di ritardo, il sito www.enricoletta.it accendeva la sua nuova versione: foto dell’Enrico e un link a un video ospitato su YouTube (http://www.youtube.com/watch?v=JV6AamJLy5A). Annunciato da ore, ecco l’evento, Letta che annuncia la sua candidatura alla guida del Partito Democratico: un po’ di intaso iniziale per eccesso di traffico, ma poi va tutto regolare, anche perché i potenti server di YouTube (posseduta da Google), reggono benissimo il sovraccarico. Sono in tutto 3:11 minuti di video, dove il politico della Margherita guarda il mondo e i suoi potenziali elettori attraverso il monitor di un portatile. Il regista ha girato lo spot (perché altro non è) a bordo di un traghetto sul mare, dove degli attori impersonano gente normale, comprese tre ragazze di cui una spiega che i giovani vogliono cose concrete, non guardano al colore sia esso rosso, verde o giallo. Vola nel cielo un gabbiano, malgrado la superstizione degli addetti alla comunicazione dica da sempre che quell’uccellaccio porta sfortuna. Dunque, dice il claim «il viaggio comincia». Il tutto mooolto tradizionale, a conferma che la comunicazione politica in rete è ancora agli inizi e alle sue inevitabili ingenuità.

Al confronto la parlata franca e il gestire di Antonio Di Pietro sono molto più suggestivi, anche se girate in ufficio, perché è uno che guarda negli occhi ed esibisce passione (magari per cause sbagliate come la Tav valsusina, ma che si fa percepire come «caldo»).

Al confronto di Letta il discorso con cui il 10 febbraio Barack Obama annunciava la sua candidatura alle primarie Usa del partito democratico fu un capolavoro di regia: un po’ di backstage e poi un discorso diretto, appassionato, con pezzi della sua vita. Inquadrature «istituzionali» ma luci giuste, studio in legno, in qualche modo solenni, talora persino commoventi per effetto delle giuste parole.

Il giorno prima la Cnn aveva invece messo a confronto gli otto candidati democratici (Biden. Hillary Clinton, Dodd, Edwards, Gravel, Kucinich, Obama, Richardson) con un formato completamente diverso, questa volta chiamati a rispondere non già a lettere o a domande dalla sala, ma a delle questioni in forma di video, della durata di 30 secondi). Tutti i materiali e tutte le tremila video-domande sono in rete. L’effetto è stato interessante, perché quelli che hanno costruito i video erano normali persone di rete, abituate al linguaggio franco e sciolto. Magari un po’ impertinenti, come giusto, ma sensati, partecipi.

Elezioni YouTube, ora esclamano in tanti, come elezioni blog vennero definite le precedenti presidenziali, dominate dal fenomeno MoveOn.org. Ma è possibile che, come MoveOn non riuscì a portare alla candidatura Howard Dean, anche questa volta l’effetto rete risulti limitato e secondario, tanto gonfiato dai racconti dei media quanto percentualmente poco influente. Questa è un’ipotesi legittima, cui si risponde tuttavia notando come negli ultimi due-tre anni le relazioni in rete abbiano segnato una brusca accelerazione in tutti i settori, e quindi, inevitabilmente, anche in quella parte della sfera pubblica che ha a che fare più direttamente con la politica e i partiti.

Anche se la popolazioni di blog e web 2.0 sono ancore ristrette, tuttavia queste web-presenze, a parole, in audio e in video, già un effetto positivo l’hanno avuto: influenzano i media mainstream che ad essi si abbeverano (talora disgustosamente plagiando), per cogliere al volo tendenze e umori dal basso. Questi media tradizionali, a loro volta, influenzano l’agenda politica e così la sfera pubblica almeno un po’ si arricchisce di qualcosa di più importante che non sia l’ultima dichiarazione di Mastella.

Peraltro il mondo della politica, anche nei singoli soggetti che più credono alle relazioni in rete,  finora ha usato questi luoghi digitali più per dimostrare che «siamo moderni, giovani e dialoganti» che per dialogare davvero. Del resto i politici hanno ben capito che un conto è esibirsi in rete, altro è ascoltare davvero, e altro ancora è dialogare esponendosi e rischiando. La differenza tra un manifesto stradale 6×3 e un sito web interattivo è che il primo presto svanisce, anche nei ricordi visuali degli elettori, mentre il secondo resta sull’internet per sempre, con le sue promesse, silenzi, successi e crisi. Andare in rete davvero comporta un rischio, così come è rischiosa ogni relazione intensa (quelle d’amore, per esempio)  ed è questo pericolo che aziende, partiti e associazioni spesso non sono in grado di affrontare – o non vogliono, o non hanno la cultura per farlo.

Non ci si illuda dunque che quella web e blog sia la nuova forma delle campagne elettorali: pian piano lo stanno un po’ diventando, ma ci vorrà tempo, tenacia e fantasia per demolire anche per questa via (e non solo per questa via) l’insopportabile dittatura delle caste.

 

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Romano Prodi leader reticente

Posted by franco carlini su 19 luglio, 2007

 

F. C.

L’altra faccia della privacy è la trasparenza. La settimana scorsa Francesco Pizzetti, presidente del «Garante per la protezione dei dati personali», ha tenuto la sua relazione annuale, efficace nel segnalare il vero e proprio saccheggio del diritto alla riservatezza di cui ognuno di noi dovrebbe essere titolare. Il rapporto completo è leggibile sul sito web garanteprivacy.it, come ormai dovrebbe per ogni documento pubblico. Infatti alla non intrusione nella vita delle persone, dovrebbe corrispondere, viceversa, e in maniera persino esagerata e spasmodica, la massima pubblicità degli atti delle amministrazioni, perché i cittadini possano essere informati (quelli che lo vogliano), possano controllare e se è il caso contestare, e infine, al momento del voto, premiare o punire. Il nostro paese, con un certo ritardo, si è dotato nel 1990 di una legge detta della trasparenza. Essa si ispira alle norme analoghe da tempo esistenti in altri paesi anglosassoni, dove vengono indicate con la sigla «Foia», Freedom of Information Act. Ma nella sua applicazione pratica essa incontra ogni giorno enormi difficoltà perché è alta la capacità di resistenza delle amministrazioni nel dissuadere ritardando, negando e frapponendo ostacoli. Tra questi, in maniera assolutamente ipocrita e sospetta, le amministrazioni sovente accampano motivi di riservatezza, di privacy appunto. Questo atteggiamento è in parte, ma solo in parte, figlio di un antico riflesso burocratico che non considera i cittadini titolari di un diritto a sapere e che inventa procedure e sottoregole anche laddove non sono previste. Talora è atteggiamento omertoso, per coprire magagne o decisioni poco limpide. Ma è anche un atteggiamento politico e dirigistico il cui peggiore esponente in questi mesi è stato Romano Prodi. È sua la prassi disdicevole di andarsene all’estero, aspettare un po’ di giornalisti e poi dichiarare: «È deciso, si fa, per rispettare gli impegni che abbiamo preso». Lo ha fatto per la base Usa di Vicenza, lo ha ripetuto in questi giorni per la Tav della val di Susa. Quali impegni? Presi da chi, quando, dove, come, chiederà uno, memore delle cinque W d’oro del giornalismo. Nessuna risposta.

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Un Di Pietro sprecato

Posted by franco carlini su 19 luglio, 2007

 

L’ultimo incontro del ministro Di Pietro con i giornalisti si è svolto la settimana scorsa. In rete, anzi in quel mondo virtuale che è Second Life, dove ormai ognuno si sente in dovere di esserci. Persino D’Alema c’è andato, sia pure con un semplice video. Di pupazzetti radunati per dialogare con quello del ministro ce n’erano un centinaio, ma l’evento è stato una delusione (per un resoconto vedi http://www.visionpost.it/index.asp?C=8&I=2078). Infatti Di Pietro è di persona assai efficace, tanto nel linguaggio, che nelle espressioni fisiche; basti vedere i suoi filmati depositati su YouTube dove è ben vero che parla da solo, ma a ognuno sembra che parli a e per lui. Nell’isoletta di Second Life invece c’era il suo alias tipo cartoon che agitava le mani e di lui si sentiva la voce. Nel luogo deputato dell’interattività digitale, andava avanti da solo, mentre in chat i presenti gli dicevano: «ci leggi?». Il suo ufficio stampa ci ha segnalato che in effetti rispondeva alle domande inviate in anticipo dai giornalisti pre-registrati. Tutto normale e lecito, ma allora perché farlo in Second Life? Solo per dimostrare che si è di frontiera e per avere un provvisorio titolo sui giornali? Ai fini della comunicazione politica una conferenza stampa «fisica» con spazio a domande e risposte non confezionate resta senza dubbio lo strumento migliore. In rete le chat, e anche i blog, pur se fatti di solo testo, assicurano comunque immediatezza e accesso anche da lontano I filmati unidirezionali, come si è detto, possono avere la loro efficacia. Ma in Second Life, che vantaggio c’è? Molti, politici e aziende, cominciano a chiederselo. La risposta più sensata è che ne vale la pena se si è capaci di inventare forme di presenza e di dialogo specifiche di quel medium, a metà tra videogame e forum. E per farlo bisogno viverci, frequentare, «vedere gente».

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Gli assenti ai ceppi

Posted by franco carlini su 18 luglio, 2007

Franco Carlini – editoriale il manifesto

L’assenteismo in ospedale è cosa grave. Con comportamenti del genere si fa del danno, eventualmente anche assai pesante, a singole persone malate e all’idea stessa di una sanità pubblica come bene comune, diritto di tutti. Nessuna scusa dunque, né attenuante. Insomma, è una pesante lesione etica del rapporto con la comunità. Vale per tutti i «fannulloni» questo giudizio – per riprendere una espressione giornalisticamente assai popolare lanciata nei mesi scorsi dal professor Pietro Ichino. Il quale infatti, ieri si è precipitato a brindare online e in videocasting dalle pagine web di Corriere.it: «Crolla un muro». Da tempo egli chiede la possibilità di licenziare – e persino «al volo» – i responsabili di tali comportamenti. Tecnicamente è anche un reato; nel caso di Perugia viene imputato quello di falso in atto pubblico e di truffa aggravata, su cui i giudici decideranno. Ma che per tali reati si ricorra all’arresto, beh questa è ben più che una esagerazione, è atto incivile. Il quale nasce da una serie di distorsioni concatenate del nostro infelice paese. La prima è la lentezza vergognosa della giustizia, grazie alla quale la condanna, pronunciata in modo definitivo dopo anni, non ha più alcuna funzione: non serve a dissuadere altri dal commettere un reato né a ristabilire una qualche giusta sanzione pubblica, «in nome del popolo italiano». L’onorevole (?) Cesare Previti è lì a dimostrarlo ogni giorno e come lui i molti che possono permettersi costosi avvocati, specialisti non in arringhe difensive, ma in rinvii a catena. Così qualche giorno di arresto diventerà l’unica punizione pubblica e mediatica, anche per chi fosse innocente. E anche per il colpevole sarà una punizione insieme ingiusta (perché senza processo) e magari troppo leggera.
La seconda distorsione è la difficoltà endemica a sanzionare amministrativamente queste cose. Lo impediscono dei regolamenti, ma anche la diffusa indulgenza morale che copre non tanto gli assenteisti, quanto gli evasori fiscali, così come i deputati che votano al posto altrui – gli ingenui come noi pensano invece che anche quello sia un falso in atto pubblico, tanto più grave perché si esercita nella più nobile delle funzioni, quella legislativa in cui la democrazia si esprime.
Tutto vero, se non fosse che la restrizione della libertà personale (avete presente l’habeas corpus?) è questione sempre e ovunque delicatissima, che uno stato che non sia pasticcione (l’Italia) o dittatoriale (diciamo l’Iran, tra i molti esempi possibili) deve usare con la massima cautela. E in maniera proporzionata al danno sociale generato, non sull’onda di campagne emergenziali o – peggio – un po’ ideologiche tipo quella sui «fannulloni». Che per i cartellini timbrati o per la guida pericolosa echeggi, come unica risposta l’invocazione della galera («subito e buttate via la chiave») ci dice di una regressione generalizzata delle idee di libertà, uguaglianza e di giustizia.

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La marescialla del G8

Posted by franco carlini su 12 luglio, 2007

due donne in rete

 

«Qualche settimana fa ho comprato un computer portatile per i miei figli e per la prima volta ho digitato il mio nome in Internet. Sapevo che avrei trovato di tutto, da ‘è tutta rifatta’ a ‘voleva solo farsi pubblicità’, ma è stato più orribile di quanto pensassi». Così l’attrice francese Emmanuelle Béart, intervistata da Io donna. Non che non abbia ragione: le pagine che di lei parlano sul web sono più di un milione e alla sua presenza tra i sans papiers parigini nel 1997 sono dedicate molte voci, anche quelle più malevole. Ma il web è così: ogni cosa che tu hai fatto, detto e scritto, rimarrà lì per sempre, a tuo vanto o disdoro. A questa seconda categoria va certamente iscritta la marescialla di Genova, Marina S., che fino a domenica scorsa aveva solo 6 citazioni sul web. Tutte rimandano alla sua voce, registrata in occasione del G8 genovese e della morte di Carlo Giuliani e ora depositata in tribunale. E’ lei la marescialla che viene chiamata dal collega Nicola attraverso il 113. Nicola se la fa passare in sala operativa e scherza con lei corteggiandola. E’ lei che tra un cazzeggio e l’altro (in quel giorno, in quelle ore!), pronuncia l’allucinante frase «speriamo che muoiano tutti … intanto uno è già … vabbè 1 a 0 per noi yeah». L’audio originale è disponibile sul sito Internet di Corriere.it: http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2007/07_Luglio/06/genova_multimedia.shtml ed è bene che lì resti a futura memoria. Chissà se avrà un figlio la marescialla, ma chissà che (in)cultura della vita e della morte ha, lei con il suo fidanzato con gli occhi blu. La voce è così giovane, così carina, così devastante nella sua leggerezza. Fa paura.

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Tutti i blogoneers della politica

Posted by franco carlini su 12 luglio, 2007

Tutti i blogoneers della politica, raccomandazioni e istruzioni per l’uso

Uno studio di una università americana per conto dell’Ibm sulle migliori pratiche, suggerimenti concreti e prospettive per il futuro per chi usa il blog nel mondo pubblico

Raffaele Mastrolonardo

Per quanto il termine sia oramai abusato, il cosiddetto Web 2.0 (ovvero la seconda ondata del world wide web) è ormai una realtà e il fenomeno dei blog una delle sue incarnazioni più lampanti. La rivoluzione dei diari online ha già cambiato le abitudini del mondo delle pubbliche relazioni, di alcuni grandi manager (che hanno adottato il weblog come strumento comunicazione interna ed esterna) e, in misura minore ma crescente, dei politici. Persino in Italia. Proprio sulle potenzialità del blogging per candidati, parlamentari ma anche per dirigenti delle amministrazioni pubbliche si concentra il rapporto «The Blogging Revolution: Government in the Age of Web 2.0», realizzato da David C. Wyld della Southeastern Louisiana University per conto dell’Ibm. Center Lo studio tiene insieme analisi, ricognizione delle migliori pratiche, suggerimenti concreti e prospettive per il futuro. Il tutto in una ricerca che prende spunto dai «blogoneers», vale a dire dai pionieri nell’uso dei blog nel mondo pubblico.
Ed è proprio nella funzione di repertorio che lo studio dà il meglio di sé offrendo per esempio, i link a tutti i membri del Congresso che hanno un blog (17, e tra questi c’è il candidato democratico Barack Obama), alle commissioni parlamentari dotate di diario virtuale (3), a quelli dei governatori e dei vice governatori (5), dei parlamentari dei singoli stati (oltre 50), dei sindaci (19), dei city managers (11), dei dipartimenti di Polizia e vigili del fuoco (10) e dei presidenti di università e college (8).
Nella ricognizione e spiccano alcuni studi di caso interessanti; tra tutti si segnala soprattutto quello del famoso U.S. Strategic Command (Stratcom) del ministero della Difesa americano. In quelle stanze strategiche da tempo ricorre al blogging come strumento di comunicazione interna per migliorare il flusso delle informazioni. Ovviamente trattandosi di una intranet e per di più militare, il tutto è strettamente riservato. Da queste e altre storie di successo il report deriva una serie di consigli per politici, manager e pubblici ufficiali che vogliano perseguire la strada di questa nuova forma di comunicazione online.
Il decalogo per aspiranti blogger è ricco di suggerimenti sull’importanza di definire se stessi e i propri scopi, di scrivere e aggiornare personalmente il diario online, di essere regolari negli aggiornamenti e non troppo autoreferenziali, ma pronti a coinvolgere, attraverso giudizi e considerazioni, i collaboratori. Non manca poi un avviso importante: sviluppare una scorza dura per sopportare commenti poco eleganti. Ultimo suggerimento: non commettere errori di battitura come spesso accade, per la fretta, in molti luoghi della rete.
Pillole di saggezza ad uso di chi oggi desideri cogliere le opportunità, che potrebbero presto diventare lezioni necessarie per qualsiasi politico. Quel che oggi è una scelta domani sarà un obbligo. «La blogosfera continuerà a crescere – si legge nel rapporto – e con questa crescita diventerà sempre più comune per i top manager privati e pubblici essere blogger a propria volta. Nei prossimi anni quegli operatori pubblici che non useranno i blog potrebbero dunque apparire sospetti per il fatto di non ricorrere a questa tecnologia per connettersi, all’interno, con la propria organizzazione e, all’esterno, con i propri pubblici di riferimento».
Il rapporto offre infine ai politici con vocazione telematica un bouquet di tipologie di diari online tra cui scegliere, nel caso vogliano lanciarsi nell’avventura, come il blog di viaggio, che racconta le trasferte e le missioni o il blog passo dopo passo, che segue gli iter di approvazione di una legge o di un provvedimento allo scopo di aggiornare i propri elettori.

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Veltroni impari da Al Gore

Posted by franco carlini su 5 luglio, 2007

 

L’ambientalismo del futuro leader del Pd: l’illusione che la tecnologia sia una cura
Nessuna critica al meccanismo energivoro proprio della crescita capitalistica, ma solo al «modo di procacciarsi» le risorse necessarie. Con sullo sfondo la devastante rincorsa ai terreni da destinare ai biocarburanti

Franco Carlini

Molti complimenti ha ricevuto Walter Veltroni per aver messo al primo posto, tra i quattro capitoli della «nuova Italia» che egli immagina, l’ambiente – gli altri essendo un nuovo patto fra le generazioni, la formazione e la sicurezza. La formulazione del problema è netta, ma le conclusioni politiche lasciano invece assai dubbiosi. Vediamo.
Il punto di partenza sono i «mutamenti climatici», ormai «un drammatico dato di fatto» che riguarda non solo il futuro, ma l’oggi. Si noti che Veltroni non usa la dizione «riscaldamento globale», ma preferisce il termine più dolce «mutamenti». Riconosce che la causa siamo noi umani, ma la confina al «modo tradizionale di produrre e consumare energia». Se togliesse quell’ultima parola, energia, potremmo essere d’accordo: sono infatti il consumismo e la crescita ininterrotta che spingono a sprecare energia. Invece nella visione del nuovo leader non è in discussione cosa e come produciamo, mangiamo, consumiamo, ma solo come ci approvvigioniamo dell’energia necessaria. Sembra una finezza, ma è invece un discrimine pesante.
Un’altra affermazione importante è questa: «l’ambientalismo è l’unico campo in cui l’obiettivo più radicale è conservare». Ben detto, finalmente un politico che sa distinguere tra conservazione (di valori e di beni comuni) e conservatorismo. Ma qui cominciano i guai. Si tratterebbe infatti di «conservare un equilibrio naturale», la qual cosa non è mai esistita. Basti ricordare che solo il 17 per cento delle terre sono disabitate, per rendersi conto che la natura che conosciamo è comunque il frutto di un processo di alta manipolazione umana. La novità semmai è che non solo nel clima, ma nelle foreste, come nei fiumi e nei mari, questa nostra umanità votata ha portato al collasso la sua Terra Madre. Purtroppo non ci sono equilibri preesistenti da conservare, dato che quelli che c’erano, ancora un secolo fa, sono saltati tutti con un’accelerazione pazzesca. Crescita economica e sviluppo umano sono ormai due cose divergenti e il nuovo sviluppo sostenibile chiede inevitabilmente di rallentare, di prendersi tempo e vita.
Qui emerge il secondo difetto della proposta di Veltroni. Egli suggerisce che dalla crisi del pianeta si possa uscire con più tecnologia: «sono le conquiste scientifiche e tecnologiche a consentire, oggi, di difendere l’aria, l’acqua, la Terra». Questo è esattamente il pensiero di tutti i conservatori: a fronte dei danni prodotti dalla crescita ininterrotta, guidata solo dal profitto a breve, essi immaginano di rimediare fidando nel fatto che nuove tecnologie potranno sanare o addirittura migliorare. Ah, il progresso… E’ un percorso che gli storici hanno ben descritto: prima si scatena qualsivoglia tecnica senza valutarne l’impatto, e poi, quando i danni risultano evidenti, si fa appello a nuove tecniche sperando di superare il problema. Vanno a esaurimento le risorse petrolifere e comunque le auto a benzina inquinano? Si passi allora ai biocarburanti, magari deforestando a raffica e destinando vaste estensioni agricole non già a produrre cibo per un’umanità in crescita, ma ad assicurare carburante all’umanità attuale, in attesa del prossimo disastro.
Il ragionamento del futuro segretario del Pd, in realtà aveva un fine politico: contrapporre alla «logica del no a tutto» (ovvero alla famigerata sinistra radicale) un sano e moderno «ambientalismo dei sì». In questo caso il travisamento è totale, ingiusto e infondato. Fino ad oggi la logica del No è stata praticata con convinzione e tenacia da governi e industria. Viceversa i Sì, e cioè le proposte innovatrici per l’ambiente e per la qualità della vita sono stati avanzati dai movimenti dell’ambiente e rigettati con violenza da chi comanda. A Vicenza chiedevano un parco verde al Dal Molin e gli hanno dato una base militare allargata. Nei trasporti si chiedono da decenni mezzi pubblici (specialmente a Roma!) e tante ferrovie e si risponde riducendo i fondi e costruendo carreggiate. Si domandano politiche e incentivi per l’energia solare domestica, ma le aziende di stato vanno a far danni petroliferi in Nigeria ed Ecuador. Si domanda che l’acqua sia un diritto naturale e un bene comune e fino all’ultimo ci provano a privatizzarla.
Di Veltroni è stato detto che è meraviglioso perché capace di conciliare gli inconciliabili, ma anche questo è un mito: la cura da lui impiegata nel discorso del Lingotto nel non indicare alcun «colpevole» dei danni ambientali e nel colpevolizzare invece gli unici innovatori, ci dice che ha scelto da che parte stare. Noi filoamericani cerchiamo il nostro Al Gore disperatamente.

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Il governo tedesco aiuta Wikipedia

Posted by franco carlini su 5 luglio, 2007

wikipedia.de

L’aiuto diretto del governo tedesco

patrizia cortellessa

Metti che una ricerca commissionata dal Ministero per l’Economia e la tecnologia tedesco abbia restituito come dato finale che il 62% dei tedeschi apprezzi il web e che il loro numero sia in costante aumento. Metti anche che per un utente medio di internet, per quanto riguarda la ricerca e l’informazione, sia Wikipedia l’enciclopedia on line più popolare. Consideriamo ora che il governo di questo paese ne comprenda le grandi potenzialità e decida di finanziare, nei prossimi tre anni, proprio Wikipedia Germania (www.wikipedia.de) per arricchire e completare le aree tematiche riguardanti le fonti rinnovabili. Perché se è vero che «su wikipedia Germania ci sono già un gran numero di voci ben realizzate sulle energie rinnovabili» è pur vero che «altre mancano totalmente, o le descrizioni sono piuttosto scarne o non sono aggiornate», come dichiara Andreas Scutte, direttore esecutivo dellAgenzia delle Risorse rinnovabili (FnR), che su mandato e finanziamento del Ministero federale per l’Alimentazione, l’Agricoltura e la Protezione dei consumatori è incaricato di occuparsi delle ricerche sulle fonti rinnovabili. Nei prossimi anni dunque molti nuovi articoli (voci) saranno scritti da specialisti della materia, sotto la direzione del Nova Institute. All’inizio verrà creato un team di esperti per redigere le varie voci. In secondo luogo si procederà con la formazione tecnica per agevolare il lavoro di inserimento su Wikipedia. Fino ad ora la comunità wikipediana si è sostenuta grazie al lavoro volontario dei singoli e soprattutto degli «admin» disseminati nei vari paesi; in questo caso invece il contributo arriva da un governo, sia pure in forma indiretta. Da parte del governo tedesco è un riconoscimento importante e una scommessa: là dove i cittadini leggono, è utile che ci sia informazione corretta e completa.

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