il manifesto, 25 luglio 2007
FRANCO CARLINI
Ieri alle 16:01, con un solo minuto di ritardo, il sito www.enricoletta.it accendeva la sua nuova versione: foto dell’Enrico e un link a un video ospitato su YouTube (http://www.youtube.com/watch?v=JV6AamJLy5A). Annunciato da ore, ecco l’evento, Letta che annuncia la sua candidatura alla guida del Partito Democratico: un po’ di intaso iniziale per eccesso di traffico, ma poi va tutto regolare, anche perché i potenti server di YouTube (posseduta da Google), reggono benissimo il sovraccarico. Sono in tutto 3:11 minuti di video, dove il politico della Margherita guarda il mondo e i suoi potenziali elettori attraverso il monitor di un portatile. Il regista ha girato lo spot (perché altro non è) a bordo di un traghetto sul mare, dove degli attori impersonano gente normale, comprese tre ragazze di cui una spiega che i giovani vogliono cose concrete, non guardano al colore sia esso rosso, verde o giallo. Vola nel cielo un gabbiano, malgrado la superstizione degli addetti alla comunicazione dica da sempre che quell’uccellaccio porta sfortuna. Dunque, dice il claim «il viaggio comincia». Il tutto mooolto tradizionale, a conferma che la comunicazione politica in rete è ancora agli inizi e alle sue inevitabili ingenuità.
Al confronto la parlata franca e il gestire di Antonio Di Pietro sono molto più suggestivi, anche se girate in ufficio, perché è uno che guarda negli occhi ed esibisce passione (magari per cause sbagliate come la Tav valsusina, ma che si fa percepire come «caldo»).
Al confronto di Letta il discorso con cui il 10 febbraio Barack Obama annunciava la sua candidatura alle primarie Usa del partito democratico fu un capolavoro di regia: un po’ di backstage e poi un discorso diretto, appassionato, con pezzi della sua vita. Inquadrature «istituzionali» ma luci giuste, studio in legno, in qualche modo solenni, talora persino commoventi per effetto delle giuste parole.
Il giorno prima la Cnn aveva invece messo a confronto gli otto candidati democratici (Biden. Hillary Clinton, Dodd, Edwards, Gravel, Kucinich, Obama, Richardson) con un formato completamente diverso, questa volta chiamati a rispondere non già a lettere o a domande dalla sala, ma a delle questioni in forma di video, della durata di 30 secondi). Tutti i materiali e tutte le tremila video-domande sono in rete. L’effetto è stato interessante, perché quelli che hanno costruito i video erano normali persone di rete, abituate al linguaggio franco e sciolto. Magari un po’ impertinenti, come giusto, ma sensati, partecipi.
Elezioni YouTube, ora esclamano in tanti, come elezioni blog vennero definite le precedenti presidenziali, dominate dal fenomeno MoveOn.org. Ma è possibile che, come MoveOn non riuscì a portare alla candidatura Howard Dean, anche questa volta l’effetto rete risulti limitato e secondario, tanto gonfiato dai racconti dei media quanto percentualmente poco influente. Questa è un’ipotesi legittima, cui si risponde tuttavia notando come negli ultimi due-tre anni le relazioni in rete abbiano segnato una brusca accelerazione in tutti i settori, e quindi, inevitabilmente, anche in quella parte della sfera pubblica che ha a che fare più direttamente con la politica e i partiti.
Anche se la popolazioni di blog e web 2.0 sono ancore ristrette, tuttavia queste web-presenze, a parole, in audio e in video, già un effetto positivo l’hanno avuto: influenzano i media mainstream che ad essi si abbeverano (talora disgustosamente plagiando), per cogliere al volo tendenze e umori dal basso. Questi media tradizionali, a loro volta, influenzano l’agenda politica e così la sfera pubblica almeno un po’ si arricchisce di qualcosa di più importante che non sia l’ultima dichiarazione di Mastella.
Peraltro il mondo della politica, anche nei singoli soggetti che più credono alle relazioni in rete, finora ha usato questi luoghi digitali più per dimostrare che «siamo moderni, giovani e dialoganti» che per dialogare davvero. Del resto i politici hanno ben capito che un conto è esibirsi in rete, altro è ascoltare davvero, e altro ancora è dialogare esponendosi e rischiando. La differenza tra un manifesto stradale 6×3 e un sito web interattivo è che il primo presto svanisce, anche nei ricordi visuali degli elettori, mentre il secondo resta sull’internet per sempre, con le sue promesse, silenzi, successi e crisi. Andare in rete davvero comporta un rischio, così come è rischiosa ogni relazione intensa (quelle d’amore, per esempio) ed è questo pericolo che aziende, partiti e associazioni spesso non sono in grado di affrontare – o non vogliono, o non hanno la cultura per farlo.
Non ci si illuda dunque che quella web e blog sia la nuova forma delle campagne elettorali: pian piano lo stanno un po’ diventando, ma ci vorrà tempo, tenacia e fantasia per demolire anche per questa via (e non solo per questa via) l’insopportabile dittatura delle caste.