Chips & Salsa

articoli e appunti da franco carlini

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Archive for luglio 2007

Da Cagliari a Mountain View

Posted by franco carlini su 26 luglio, 2007

Renato Soru, presidente della regione Sardegna, ha il pregio delle idee chiare e del parlar netto: «A distanza di tre anni mi sono reso conto che l’interattività del digitale terrestre non esiste. La televisione è broadcasting e broadcasting muore. Una cosa è internet, un’altra la televisione (..) Posso assicurare che ogni piccolo paese della Sardegna avrà la banda larga entro il 2008» – così nel più recente convegno sul tema. Il ministro Gentiloni ha debolmente replicato dicendo che il digitale terrestre e l’internet a larga banda non sono in competizione tra di loro. Tecnicamente è anche vero, ma sono due cose quasi agli antipodi. Il digitale terrestre è il semplice (a parole) passaggio dei formati televisivi classici a un’altra codifica, con interazione zero. Va fatto, ma non aggiunge nulla e non merita particolari incentivi. Al massimo, nei paesi più seri, riesce a liberare delle frequenze che potrebbero invece essere ridistribuite, allargando il pluralismo – cosa che in Italia non sta avvenendo. La banda larga è fattore di sviluppo economico (nuovi imprenditori di contenuti, apparati e servizi), di informazione civica e pubblica, di abilitazione» delle persone alla comunicazione. Insomma ha a che fare anche con la democrazia.

Lo si capisce chiaramente saltando da Cagliari a Mountain View, California, dove Google ha deciso di partecipare, in concorrenza con i grandi operatori della telefonia come Sprint e Verizon, alle gare per l’assegnazione delle nuove frequenze wireless. Il che non significa che Google voglia mettersi a vendere telefonini, ma solo che ha ben capito che lo spettro è un bene pubblico, cui tutti, singoli e imprese, devono poter avere accesso, nella prospettiva di un’internet mobile, ormai all’ordine del giorno. Per questo il suo capo, Erich Schmidt, chiede che chiunque vinca le licenze, sia obbligato a far transitare sulle sue reti anche i contenuti degli altri, una sorta di roaming obbligatorio, una regola del tipo “must carry”, che garantisca la circolazione dei bit concorrenti. Google ovviamente pensa ai suoi interessi, che però, in questo caso, coincidono almeno in parte con quelli dei consumatori e soprattutto dei cittadini.

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Giovani e naturalmente geek

Posted by franco carlini su 26 luglio, 2007

FRANCO CARLINI, ALESSANDRA CARBONI

Non c’è gruppo demografico più corteggiato dai media – e dai politici – dei giovani e dei giovanissimi. Si fantastica di patto tra le generazioni (ipocritamente fregando sia i vecchi che i giovani, tra pensioni e condizioni di lavoro); li si immagina tutti creativi e un po’ misteriosi; universo esaltante, ma difficile da penetrare; mercato ricco perché già oggi hanno molti soldi e saranno comunque i grandi consumatori di domani. Oppure, altrettanto abusivamente, li si classifica come qualunquisti, neo-familisti, persino devoti alla verginità protratta, ma anche al consumo esagerato di alcoolici e droghe. Tutto e il contrario di tutto, a dimostrazione che forse le scienze sociali e i sondaggisti dovrebbero aggiornare i loro metodi e le loro griglie interpretative.

Per intanto ci si accontent sul fronte giovani e tecnologie, dello studio intitolato “The Circuits of Cool/Digital Playground”, appema reso pubbloico. Lo scopo era di capire come la tecnologia viene percepita e utilizzata in differenti culture. Per questo motivo è stato realizzato interpellando 18 mila tra bambini e adolescenti di 16 nazioni, quali Regno Unito, Germania, Olanda, Italia, Svezia, Danimarca, Polonia, Stati Uniti, Canada, Brasile, Messico, Cina, India, Giappone, Australia e Nuova Zelanda. Il sondaggio è stato commissionato da Mtv Networks, Nickelodeon, Microsoft e Viacom.

In media il giovane globale medio ha 94 numeri telefonici nella rubrica del proprio telefonino, e 78 amici nella sua lista di amici (buddy) nel software di Instant Messaging o associati al suo profilo nei social network. Tutti appaiono essere abilissimi nel multitasking, e cioè nell’utilizzare contemporaneamente molti e diversi canali di comunicazione.<

I ragazzini hanno sempre il telefonino in mano e il lettore Mp3 in tasca, vivono in rete e dialogano con gli amici su MySpace e sono abilissimi con il joy pad. Ma non parlategli di tecnologia: per loro è un concetto astruso. Anzi, non è nemmeno un concetto, perché l’hi-tech è parte integrante dell’esistenza dei giovanissimi al pari di scarpe da ginnastica e jeans: niente di nuovo né sorprendente. Secondo la ricerca solo pochissimi ragazzi di età compresa tra gli 8 e i 24 anni (circa il 20 per cento) si dicono “appassionati di tecnologia”, e perlopiù questi si trovano in Brasile, India e Cina. Per tutti gli altri la tecnologia è praticamente invisibile, un ambiente normale e naturale, esattamente come la televisione era uno di famiglia» per chi ha vissuto infanzia e adolescenza negli anni ’80.

“La comunicazione digitale – dall’Instant Messaging agli Sms, dal Social Networking alla posta elettronica – ha rivoluzionato il modo in cui i giovani comunicano con i loro pari. Volevamo comprendere in modo più approfondito come questa fascia di popolazione interagisce con l’hi-tech, e di conseguenza capire che significato hanno i dati raccolti per chi studia campagne pubblicitarie rivolte a tale pubblico” ha spiegato hris Dobson, rappresentante di Microsoft Digital Advertising Solutions.

Tra quanto è emerso dall’inchiesta, farà piacere ai genitori sapere che quando i loro figli si nascondono dietro al monitor del Pc, con gli auricolari ben calcati nelle orecchie, non si stanno isolando dal mondo e dalla realtà, ma, al contrario, lo fanno per stare meglio in contatto con i loro amici, per divertirsi ed esprimersi liberamente: ogni dispositivo che utilizzano serve per esaltare, e non per rimpiazzare, l’interazione faccia a faccia. Il P2P che vuol dire computer “da pari a pari” è diventato “da persona a persona”. Questo, secondo gli analisti, è un fattore di cui devono tenere conto anche i pubblicitari e i produttori di contenuti.

Come ha sottolineato Andrew Davidson, vice presidente di VBS International Insight, il modo in cui ciascuna tecnologia viene adottata e adattata alla propria realtà dipende in gran parte da fattori culturali e sociali legati al luogo di appartenenza. Ecco dunque cosa la fotografia ci racconta: c’è il ragazzino cinese che usando il computer si è fatto in media 37 amici online, che peraltro non ha mai incontrato; il suo coetaneo indiano considera il cellulare uno status symbol; per il giapponese il telefonino è sinonimo di privacy ; un teenager americano e britannico su tre dice di non poter vivere senza la console da gioco. Ad ogni modo, il sondaggio ha rivelato che le attività preferite nel tempo libero dagli under 14 sono guardare la televisione, ascoltare musica, dormire e stare con gli amici: il che dimostra come anche le generazioni che la tecnologia non riesce a stupire si accontentino di poco e che, tutto sommato, le cose non sono granché cambiate dai tempi del carosello.

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Sceneggiatori per un nuovo contratto

Posted by franco carlini su 26 luglio, 2007

marina rossiSta per scadere il contratto di lavoro tra i produttori video, riuniti nella Amptp (Alliance of Motion Picture and Television Producers) e l’associazione degli sceneggiatori che operano nell’industria dell’intrattenimento statunitense, la Wga (Writers Guild of America). Va aggiornato anche perché la rete ha cambiato l’intero ciclo dei media, dalla produzione alla distribuzione. Tra gli argomenti più dibattuti, il calcolo della remunerazione: l’attuale sistema non considera i proventi derivanti dalla rete o dalla fruizione mobile come su iPod. Per un’analisi approfondita è stato avviato uno studio triennale. Per gli scrittori della Wga (solitamente divisa nelle due aree orientale e occidentale degli Stati Uniti) l’obiettivo è, ovviamente, quello di ottenere contratti più sostanziosi: oggi, una sceneggiatura può assumere diverse forme di distribuzione e un successo superiore, ma frammentato, rispetto ai canali tradizionali. Dal punto di vista degli studios, invece, il calo delle vendite di dvd e degli spettatori tradizionali di cinema e televisione, sono validi motivi per mantenere il contratto inalterato.  L’influenza della rete sul circo dell’intrattenimento è evidente, ma anche difficile da misurare. Il buzz, il passaparola su internet, può rivoluzionare l’atteggiamento del pubblico e decretarne il successo o l’insuccesso. Tra i casi più recenti, Snakes on a plane, un b-movie con Samuel L. Jackson che ha modificato la trama ascoltando il pubblico della rete durante la lavorazione, oppure la serie tv Lost che deve il suo massimo successo alla comunità nata spontaneamente online. Proprio il produttore di Lost, J.J.Abrams, ha generato  un clima di attesa grazie al passaparola riguardo al suo ultimo lavoro, ancora senza titolo e ancora in lavorazione, ma di cui un misterioso trailer è stato mostrato nei cinema Usa all’anteprima di Transformers.

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Siamo tutti dei Simpson

Posted by franco carlini su 26 luglio, 2007

Alessandra Carboni

Avete mai avuto la curiosità di sapere come apparireste in una puntata dei Simpson? Dopo tutto Mick Jagger, Magic Johnson, i Red Hot Chili Peppers e Sting sono già comparsi  nell’universo della famiglia gialla più irriverente d’America.  Bene, se avete mai avuto questo insano desiderio, oggi potete soddisfarlo. Mentre sta per sbarcare nei cinema di tutto il mondo (in Italia a settembre) quello che è stato definito «il film d’animazione più atteso dell’anno», The Simpsons Movie, chiunque può provare a simpsonizzarsi, ovvero a trasformarsi in un nuovo e originale personaggio della fortunata serie, grazie al sito SimpsonizeMe, ultima trovata di marketing ideata da Burger King e Fox per il lancio della pellicola. L’obiettivo è ovviamente quello di creare i tanto ambiti meccanismi di passa parola che costituiscono l’essenza della comunicazione via web. Una volta collegati al sito, effettuare la trasformazione è facile: basta registrarsi, caricare una bella foto (deve essere un primo piano del viso, con una risoluzione minima di 640×480), selezionare il sesso di appartenenza e poche altre caratteristiche e quindi lasciare che il software faccia il suo lavoro, trasformando il vostro volto originale  in un personaggio in tutto e per tutto degno di frequentare l’universo dei Simpson. Tuttavia, una volta visualizzato il risultato ottenuto, è ancora possibile personalizzarlo scegliendo conformazione fisica, pettinatura, forma di occhi, bocca, naso e sopracciglia e colore degli abiti. I più pignoli possono anche aggiungere cicatrici, nei e altri segni particolari per rendere il proprio personaggio il più fedele possibile a loro stessi.    


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La sfera di cristallo del Pentagono

Posted by franco carlini su 26 luglio, 2007

eva perasso

Deep Green, verde profondo, è il nome dell’ultima futuristica creatura nata nei laboratori della Darpa l’agenzia del Pentagono specializzata nella ricerca nel campo della difesa. Gli obiettivi fondamentali del software sono quelli di aiutare i comandanti a ragionare, nei momenti di tensione in cui prendere la decisione giusta è fondamentale. Dunque il programma può intervenire e verificare se la campagna militare in corso sta irrimediabilmente cambiando rotta e virando verso un risultato negativo, e proporre soluzioni per cambiare il risultato a proprio favore. A interagire per simulare la tattica di guerra vincente sono almeno una dozzina di «oggetti» che si intersecano tra loro per fornire il responso perfetto. Tra questi anche un software (Sketch to plan) che, analizzando le parole del comandante che illustra la situazione, lo induce a seguire una strategia piuttosto che un’altra e lo aiuta a colmare le mancanze e i punti di vista dimenticati nell’analisi. Ancor più ambizioso è il programma Sketch to decide, che usa l’iconografia dei fumetti per fantasticare in vignette sui futuri possibili. Niente di nuovo, in questo caso, dato che anche in passato il governo degli Stati Uniti si è rivolto alla fantasia degli scrittori di science fiction per ipotizzare gli scenari futuri. Ma il fiore all’occhiello del progetto Deep Green è la «sfera di cristallo», un programmino che funziona come una sorta di imbuto o scatola nera, in cui da un lato si inseriscono le informazioni tecniche, e dall’altro escono i risultati plausibili. Come finirà quell’importante operazione in Iraq? Cosa ne sarà della tale spedizione? La sfera di cristallo vuole simularr il futuro e   raccontarlo come una chiaroveggente.  Ancora una volta ai fallimenti della politica ci si illude di porre rimedio ricorrendo alle magie della tecnologia.

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Tutto il web su tutti i cellulari

Posted by franco carlini su 26 luglio, 2007

FRANCO CARLINI

In Europa pochi se ne accorgeranno, perché pochi la usano, ma la notizia è comunque interessante: sia O2, operatore inglese di telefonia mobile, che l’australiana Telstra hanno deciso di abbandonare la tecnologia i-mode, di origine giapponese, che rende possibile navigare sul web con i telefonini. Quel sistema ha avuto un grande successo solo in Giappone, dove è nato, raccogliendo molti milioni di utenti, ma la sua esportazione ad altri contesti (in Italia lo adottò Wind) è stata un quasi fallimento. Il suo guaio è che si tratta di un ambiente chiuso, dove gli utenti possono navigare quasi esclusivamente verso i siti certificati e scelti dall’operatore telefonico. E’ il sistema del giardino chiuso e ben recintato (walled garden) che con qualche ingenuità anche altri operatori telefonici hanno proposto nei primi anni del web mobile. A ciò si aggiunga che lo standard giapponese era assai poco standard, richiedendo software specifici e telefonini fatti su misura. Dunque addio senza rimpianti: è uno di quei casi in cui il mercato (ovvero i consumatori) ha votato, bocciando ciò che non piace, o che serve poco, o che è troppo complicato.

Sempre nei giorni scorsi Vodafone Italia ha delineato le sue promesse per l’autunno. In una lunga conversazione con Affari e Finanza di Repubblica, il direttore generale Paolo Bertoluzzo ha detto che l’era dell’internet mobile è infine cominciata: i clienti lo vogliono e le tecnologie infine sono mature e robuste.

Sul fronte dei consumatori, in effetti, tutti gli operatori cellulari vedono crescere nelle loro statistiche la percentuale di «traffico dati», e cioè dei bit che portano informazioni, rispetto a quelli delle telefonate vocali. Il fenomeno dunque è già in atto – per Vodafone rappresenta ormai il 18 per cento del fatturato. Il futuro immediato è lì, ma questo non significa ancora una vera esplosione, perché ci sono diversi i tasselli che devono andare a posto.

Intanto gli apparati utente, in pratica i telefonini: quelli davvero adatti alla navigazione mobile sono numerosi, ma non tantissimi. Hanno dei limiti tecnici (spesso anche dei veri e propri bachi) e costano molto, attorno ai 500-600 euro. Si può fidare che nel giro di qualche anno costeranno la metà e saranno migliori, ma per ora chiedono una spesa elevata. L’arrivo dell’iPhone della Apple (che pure di limitazioni tecniche ne ha assai) certo sta accelerando lo sviluppo di altri prodotti concorrenti e di qualità. Si tengano d’occhio le Samsung e le Nokia, ma anche alcuni marchi meno noti come iPaq e Htc. Lo stesso iPhone, abbinato alla rete cellulare americana di At&t va mostrando le sue debolezze quanto a connettività.

Secondo tassello, i piani tariffari. Molti ancora propongono delle tariffe a consumo e cioè proporzionali al tempo di collegamento o ai byte scaricati, ma non può essere questa la strada definitiva in un mondo dove i navigatori web sono abituati, in casa e in ufficio, ad abbonamenti piatti (flat), con cui sono sempre in rete, senza limiti di tempo né di volumi. Ovvio che anche dai cellulari si aspettino la stessa modalità, magari essendo disposti a pagare un «premio» per il servizio in mobilità, ma certo non eccessivo. Gli uomini e le donne del marketing sono lì al computer, con le loro tabelle elettroniche segretissime, a cercare il punto di equilibrio tra domanda e offerta e la sua dinamica nel tempo. La tendenza inevitabile, vista la concorrenza, è che scendano i costi dell’aDSL su linea fissa e che, in parallelo diminuiscano anche quelli delle connessioni mobili. Quando e quanto è tutto da vedere.

Terzo, la banda disponibile, che comincia (ma appena comincia) a essere adeguata, via via che le tlc potenziano le loro reti cellulari: è un percorso in crescita continua da Gps a Gprs, Umts, Hspa eccetera, e gli operatori italiani promettono per natale una larga copertura del territorio con i più veloci protocolli di trasmissione e ricezione. Ma molti dei nuovi supercellulari già offrono altre connessioni, in particolare quelle tipo Wi-Fi che in Europa e in Italia non sono sviluppatissime, ma che anche qui crescono: antenne sul territorio che fanno da «punti caldi» (hot spot) da cui entrare in rete a pagamento, ma in molti casi anche gratis, grazie a scelte sociali di comuni e enti locali. Il fenomeno è particolarmente esteso negli Stati Uniti, anche in rapporto alla relativa arretratezza e caoticità delle reti Usa di telefonia mobile. In ogni caso reti cellulari e reti Wi-Fi, in competizione tra di loro, permetteranno agli utenti di decidere come collegarsi all’internet. Software opportuni potranno farlo automaticamente, scegliendo in ogni luogo coperto da due o più reti, quella che offre il migliore rapporto prezzo-prestazioni. Questo è un terreno di conflitto nuovo tra gli operatori di telecomunicazione. La mossa più «a rischio» la sta facendo in America T-Mobile che offre la possibilità di saltare dalle reti cellulari a quelle WiFi, anche dentro casa, così mescolando a beneficio degli utenti le due tecnologie.

I contenuti e i servizi: l’idea della televisione sul cellulare sta rapidamente perdendo appeal. Non è andata bene con i Mondiali di calcio e tuttora il consumo di formati da televisione classica sul minischermo langue. Sarà una fetta del mercato, non necessariamente la più usata e redditizia, e dunque le Rai e le Mediaset non si facciano troppe illusioni di riciclare wireless i loro magazzini, magari un po’ riformattandoli e reimpacchettandoli. Non hanno e non avranno successo perché diverso è l’atteggiamento mentale e cognitivo quando ci si trovi sul divano o alla fermata d’autobus. Servono altri format, altre modalità di interazione e sono tutte da inventare per «prove ed errori».

Sul tema si sono tenuti qualche centinaio di convegni mediamente inutili, e ci torneremo. Per ora accontentiamoci di una formulazione sintetica: il cellulare web deve offrire – senza barriere né ostacoli – tutte le cose che già ora la rete contiene (una sconvolgente abbondanza di informazioni e servizi), ma anche, e in più, nuovi servizi adeguati alla vita erratica. Soprattutto deve esaltare quelli che finora (con la voce e gli Sms) sono stati i grandi fattore di successo dei cellulari, ossia la assoluta facilità d’uso, a prova di vecchietti e di bambinetti, e la totale abilitazione a relazioni da persona a persona. Si spera insomma in una convergenza tecnologica che a sua volta riunifichi i pregi migliori dell’internet e delle reti cellulari: abbondanza di informazioni e di idee, senza confini, relazioni da molti a molti, ma anche personalizzazione delle relazioni stesse, all’istante. Non per caso insieme agli sms dilagano anche tra i meno giovani, i messaggi istantanei. Si pensi dunque a un ambiente unico dove posta elettronica, Instant Messaging, telefonate digitali e navigazioni per il mondo siano tutte possibili da un’interfaccia unica e gradevole. In rete cose del genere le offre già Google, con pagine scarne ed essenziali che diventano un valore aggiunto. Presto le avremo in tasca.

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Sotto controllo i bimbi telefonici

Posted by franco carlini su 26 luglio, 2007

SARAH TOBIAS

 

Ma i giovanissimi, i minori, hanno diritto alla loro privacy? Grazie al cellulare se la sono riconquistata, ora rischiano di perderla. In virtù del telefonino alcune scene famigliari penose sono cessate, come quando un all’unico apparecchio di casa rispondeva il genitore e poi esclamava «c’è un certo Luca per Patrizia» e la Pat di turno doveva dialogare con il fidanzatino davanti a tutti. Ora si chiama e si riceve dal cellulino in camera propria, senza che nelle vicinanze ci siano orecchie genitoriali indiscrete né inquisitorie. Un livello di potere si è spostato da padri a figli, ma i primi cercano di riconquistare terreno anche grazie a tecnologie come quella offerta ai genitori apprensivi dall’azienda americana EAgency. Questa ha realizzato «Radar», un servizio che permette ai genitori di controllare le chiamate che i figli ricevono nel loro cellulare.

Il funzionamento è semplice: il genitore va sul sito Mymobilewatchdog.com, si registra, immette il numero di cellulare del figlio/a e compila, sempre via Internet, l’elenco delle persone-numeri telefonici che possono chiamare il giovane. Dopo di che, se egli riceve una chiamata da un numero fuori elenco, il genitore viene avvertito con un sms o una e-mail, e tale notifica verrà usata per chiederne conto al minore: «Chi ti cercava oggi alle 10?».

Il sistema viene presentato come un modo tecnologico per proteggere i figli da molestie telefoniche se non da adescamenti. In America, secondo JupiterResearch, il 12  per cento dei bambini fra gli 8-9 anni possiede un cellulare e raggiunge il 24 attorno ai 10-11 anni. In Italia le percentuali sono senza dubbio maggiori. Ovviamente dei figli appena un po’ furbi saranno sempre in grado di mentire  per conservare propria privacy di fronte a genitori invadenti: «era Ludovico, della classe di scherma».

Questo servizio si aggiunge ad altre forme di controllo parentale via cellulare: l’anno scorso la Disney lanciò Disney Mobile, basato su dei cellulari dotati di rilevatori della posizione attraverso i Gps satellitari; grazie ad esso i genitori potevano verificare via web e con la precisione di poche decine di metri la posizione dei figli sulla mappa della città. Analogo il sistema di «geo-fencing» (recinti geografici) offerto dalla società telefonica Verizon: i genitori segnalano all’operatore quali sono le zone della città in cui i figli si movono (per esempio andando a scuola o in piscina); se il pargolo esce da quelle «celle» (in questo caso il termine è preciso) per entrare in altri territori,  il genitore viene immediatamente avvertito via Sms.

Questi nuovi apparati si aggiungono ai molti software da tempo sul mercato i quali, installati sui computer dei piccoli, filtrano i siti e i contenuti che essi sono abilitati a vedere ed esplorare. Quasi nessuno si è dimostrato una soluzione efficace e robusta, ma un effetto sicuro è stato quello di creare in molti giovani la voglia di aggirare le proibizioni e quando si tratti di programmi software ciò è sempre possibile, in un modo o nell’altro.

Per parte sua Marc Rotenberg,il direttore esecutivo dell’associazione Epic («Eletronic Privacy Information Center») sostiene che la privacy dei bambini deve esser rispettata: «La costante e segreta sorveglianza dei giovani non è detto che sia la miglior strada per rintracciare la verità, ed è questo che molti genitori dovrebbero considerare».

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Microsoft promette: più privacy nelle ricerche

Posted by franco carlini su 26 luglio, 2007

RAFFAELE MASTROLONARDO

Privacy, privacy, privacy. Sembra questa la preoccupazione maggiore dei grandi motori di ricerca ultimamente. E come ulteriore testimonianza di una rinnovata sollecitudine per la riservatezza delle informazioni personali arriva la decisione da parte di Microsoft di cambiare le proprie politiche di trattamento dei dati derivanti dall’utilizzo del suo motore di ricerca, Live Search. Con effetto immediato e retroattivo, i dati relativi alle ricerche, fa sapere l’azienda, saranno resi anonimi dopo 18 mesi. La società di Bill Gates annuncia inoltre che terrà separate queste informazioni da quelle che possono consentire l’identificazione dell’utente come i nomi, gli indirizzi e-mail e i numeri telefonici.

Ma non finisce qui. Microsoft annuncia inoltre che, insieme ad Ask.com, numero quattro nel mercato dei motori di ricerca, cercherà di coinvolgere un ampio ventaglio di operatori del settore, comprese le associazioni dei consumatori, nella definizione di standard e pratiche comuni riguardo alle garanzie della privacy degli utenti. Il piano sarà definito nel dettaglio a settembre.

«Pensiamo che sia giunto il momento per un dialogo tra tutti i soggetti del settore», ha detto all’agenzia  Reuters Peter Cullen, responsabile della privacy di Microsoft. «L’attuale mosaico di protezioni e le spiegazioni differenti fornite dalla aziende crea molta confusione tra gli utenti».

L’annuncio di Microsoft fa seguito a una serie di decisioni in tal senso prese dai concorrenti. Nel marzo scorso fu Google ad annunciare di voler ridurre a 18 mesi il tempo necessario per a rendere anonimi i dati relativi alla ricerche. Inoltre, proprio una settimana fa, il motore di Mountain View ha comunicato che i «cookies», piccoli file che si depositano nell’hard-disk e identificano i nostri percorsi sul web, scadranno dopo due anni. Sempre la scorsa settimana è stata la volta di Ask.com, che ha annunciato di avere allo studio Ask Eraser, un’opzione che consentirà agli utenti di svolgere ricerche coperti dall’assoluto anonimato. Quanto a Yahoo!, numero due del settore, la sua politica aziendale prevede il mantenimento dei dati per 13 mesi, tre in meno rispetto ai due rivali principali.

Ma che cosa è che spinge i motori di ricerca a preoccuparsi così tanto della nostra privacy? Una molteplicità di fattori. A cominciare dall’attenzione crescente che su questo tema hanno i governi, le autorità regolatrici e le associazioni dei consumatori. Un interesse acuito dal progressivo consolidamento del mercato della pubblicità online, una torta che in Usa vale ormai 16,9 miliardi di dollari e che ha visto negli ultimi mesi una serie di acquisizioni da parte dei big del settore.

Yahoo! infatti sborserà 680 milioni di dollari per l’80 per cento di RightMedia; per una cifra simile WPP, colosso mondiale della pubblicità, si accaparrerà invece 24/7 Real Media, mentre Microsoft ha acquisito aQuantitative per ben 6 miliardi. Google, infine, ha acquistato DoubleClick per 3,1 miliardi.

Oltre a tutto un fenomeno nuovo incalza, quello della pubblicità associata ai podcast: sono questi dei file da scaricare in rete che contengono audio e/o video. Prendono il loro nome, per assonanza dell’iPod della Apple, anche se possono essere prodotti con qualsivoglia tecnologia e hanno il pregio di arrivare direttamente, in automatico, nei computer degli utenti, il che evita la noia di andarsi a cercare tra un sito e un altro.

Questi file dunque li si mette sul pc, ma anche sui lettori multimediali tipo Mp3. Per ora la pubblicità associata a questo canale è minima, solo 80  milioni di dollari, ma c’è chi la proietta verso ambiziosi obbiettivi – 16 miliardi di euro nel 2012 secondo Forrester Reasearch. Allo scopo è già nata una associazione tra industrie (www.downloadablemedia.org) che vuole standardizzare formati e linguaggi. Il che non è affatto semplice e potrebbe scontrarsi con le resistenze dei consumatori: già oggi la comparsa di pubblicità nei Dvd, che si pagano profumatamente, non è molto gradita. Nei video in rete un siparietto iniziale di un qualche sponsor sta diventando la norma. Ma alcune aziende vanno escogitando sistemi con cui non solo inserire pubblicità, ma anche controllarne l’ascolto-visione in seguito, nei computer dei singoli utilizzatori.

La ridda di annunci sulla privacy va dunque letta anche in quest’ottica: una strategia per salvaguardare le operazioni appena compiute. Una preventiva dimostrazione di buona volontà.  in un momento cruciale per le ricerche e i loro legami con la pubblicità.

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Enrico Letta si teleannuncia

Posted by franco carlini su 25 luglio, 2007

il manifesto, 25 luglio 2007

FRANCO CARLINI

Ieri alle 16:01, con un solo minuto di ritardo, il sito www.enricoletta.it accendeva la sua nuova versione: foto dell’Enrico e un link a un video ospitato su YouTube (http://www.youtube.com/watch?v=JV6AamJLy5A). Annunciato da ore, ecco l’evento, Letta che annuncia la sua candidatura alla guida del Partito Democratico: un po’ di intaso iniziale per eccesso di traffico, ma poi va tutto regolare, anche perché i potenti server di YouTube (posseduta da Google), reggono benissimo il sovraccarico. Sono in tutto 3:11 minuti di video, dove il politico della Margherita guarda il mondo e i suoi potenziali elettori attraverso il monitor di un portatile. Il regista ha girato lo spot (perché altro non è) a bordo di un traghetto sul mare, dove degli attori impersonano gente normale, comprese tre ragazze di cui una spiega che i giovani vogliono cose concrete, non guardano al colore sia esso rosso, verde o giallo. Vola nel cielo un gabbiano, malgrado la superstizione degli addetti alla comunicazione dica da sempre che quell’uccellaccio porta sfortuna. Dunque, dice il claim «il viaggio comincia». Il tutto mooolto tradizionale, a conferma che la comunicazione politica in rete è ancora agli inizi e alle sue inevitabili ingenuità.

Al confronto la parlata franca e il gestire di Antonio Di Pietro sono molto più suggestivi, anche se girate in ufficio, perché è uno che guarda negli occhi ed esibisce passione (magari per cause sbagliate come la Tav valsusina, ma che si fa percepire come «caldo»).

Al confronto di Letta il discorso con cui il 10 febbraio Barack Obama annunciava la sua candidatura alle primarie Usa del partito democratico fu un capolavoro di regia: un po’ di backstage e poi un discorso diretto, appassionato, con pezzi della sua vita. Inquadrature «istituzionali» ma luci giuste, studio in legno, in qualche modo solenni, talora persino commoventi per effetto delle giuste parole.

Il giorno prima la Cnn aveva invece messo a confronto gli otto candidati democratici (Biden. Hillary Clinton, Dodd, Edwards, Gravel, Kucinich, Obama, Richardson) con un formato completamente diverso, questa volta chiamati a rispondere non già a lettere o a domande dalla sala, ma a delle questioni in forma di video, della durata di 30 secondi). Tutti i materiali e tutte le tremila video-domande sono in rete. L’effetto è stato interessante, perché quelli che hanno costruito i video erano normali persone di rete, abituate al linguaggio franco e sciolto. Magari un po’ impertinenti, come giusto, ma sensati, partecipi.

Elezioni YouTube, ora esclamano in tanti, come elezioni blog vennero definite le precedenti presidenziali, dominate dal fenomeno MoveOn.org. Ma è possibile che, come MoveOn non riuscì a portare alla candidatura Howard Dean, anche questa volta l’effetto rete risulti limitato e secondario, tanto gonfiato dai racconti dei media quanto percentualmente poco influente. Questa è un’ipotesi legittima, cui si risponde tuttavia notando come negli ultimi due-tre anni le relazioni in rete abbiano segnato una brusca accelerazione in tutti i settori, e quindi, inevitabilmente, anche in quella parte della sfera pubblica che ha a che fare più direttamente con la politica e i partiti.

Anche se la popolazioni di blog e web 2.0 sono ancore ristrette, tuttavia queste web-presenze, a parole, in audio e in video, già un effetto positivo l’hanno avuto: influenzano i media mainstream che ad essi si abbeverano (talora disgustosamente plagiando), per cogliere al volo tendenze e umori dal basso. Questi media tradizionali, a loro volta, influenzano l’agenda politica e così la sfera pubblica almeno un po’ si arricchisce di qualcosa di più importante che non sia l’ultima dichiarazione di Mastella.

Peraltro il mondo della politica, anche nei singoli soggetti che più credono alle relazioni in rete,  finora ha usato questi luoghi digitali più per dimostrare che «siamo moderni, giovani e dialoganti» che per dialogare davvero. Del resto i politici hanno ben capito che un conto è esibirsi in rete, altro è ascoltare davvero, e altro ancora è dialogare esponendosi e rischiando. La differenza tra un manifesto stradale 6×3 e un sito web interattivo è che il primo presto svanisce, anche nei ricordi visuali degli elettori, mentre il secondo resta sull’internet per sempre, con le sue promesse, silenzi, successi e crisi. Andare in rete davvero comporta un rischio, così come è rischiosa ogni relazione intensa (quelle d’amore, per esempio)  ed è questo pericolo che aziende, partiti e associazioni spesso non sono in grado di affrontare – o non vogliono, o non hanno la cultura per farlo.

Non ci si illuda dunque che quella web e blog sia la nuova forma delle campagne elettorali: pian piano lo stanno un po’ diventando, ma ci vorrà tempo, tenacia e fantasia per demolire anche per questa via (e non solo per questa via) l’insopportabile dittatura delle caste.

 

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Romano Prodi leader reticente

Posted by franco carlini su 19 luglio, 2007

 

F. C.

L’altra faccia della privacy è la trasparenza. La settimana scorsa Francesco Pizzetti, presidente del «Garante per la protezione dei dati personali», ha tenuto la sua relazione annuale, efficace nel segnalare il vero e proprio saccheggio del diritto alla riservatezza di cui ognuno di noi dovrebbe essere titolare. Il rapporto completo è leggibile sul sito web garanteprivacy.it, come ormai dovrebbe per ogni documento pubblico. Infatti alla non intrusione nella vita delle persone, dovrebbe corrispondere, viceversa, e in maniera persino esagerata e spasmodica, la massima pubblicità degli atti delle amministrazioni, perché i cittadini possano essere informati (quelli che lo vogliano), possano controllare e se è il caso contestare, e infine, al momento del voto, premiare o punire. Il nostro paese, con un certo ritardo, si è dotato nel 1990 di una legge detta della trasparenza. Essa si ispira alle norme analoghe da tempo esistenti in altri paesi anglosassoni, dove vengono indicate con la sigla «Foia», Freedom of Information Act. Ma nella sua applicazione pratica essa incontra ogni giorno enormi difficoltà perché è alta la capacità di resistenza delle amministrazioni nel dissuadere ritardando, negando e frapponendo ostacoli. Tra questi, in maniera assolutamente ipocrita e sospetta, le amministrazioni sovente accampano motivi di riservatezza, di privacy appunto. Questo atteggiamento è in parte, ma solo in parte, figlio di un antico riflesso burocratico che non considera i cittadini titolari di un diritto a sapere e che inventa procedure e sottoregole anche laddove non sono previste. Talora è atteggiamento omertoso, per coprire magagne o decisioni poco limpide. Ma è anche un atteggiamento politico e dirigistico il cui peggiore esponente in questi mesi è stato Romano Prodi. È sua la prassi disdicevole di andarsene all’estero, aspettare un po’ di giornalisti e poi dichiarare: «È deciso, si fa, per rispettare gli impegni che abbiamo preso». Lo ha fatto per la base Usa di Vicenza, lo ha ripetuto in questi giorni per la Tav della val di Susa. Quali impegni? Presi da chi, quando, dove, come, chiederà uno, memore delle cinque W d’oro del giornalismo. Nessuna risposta.

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