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Il giallo del giornalista spiato

Posted by franco carlini su 23 novembre, 2006

Massimo Mucchetti rivela cosa cercavano gli «incursori» nei computer suo e dell’a.d.
La presa delle banche e dei gruppi di controllo sui quotidiani italiani. Sta lì la malattia della stampa secondo un vicedirettore del Corriere della Sera

Franco Carlini
Raramente capita di leggere un libro così documentato e così sotto tono. Così clamorosamente critico dei poteri finanziari e pseudo-industriali e insieme così aperto alle speranze di un giornalismo (e di un Corriere della Sera) migliore. Parliamo de «Il Baco del Corriere», scritto per Feltrinelli da Massimo Mucchetti che del quotidiano milanese è vicedirettore ad personam (cioè senza cariche operative). Sullo stesso quotidiano ha ricevuto un’intera pagina curata da uno dei vicedirettori operativi, Dario Di Vico, il quale nell’elogiarlo ne ha preso le debite e diplomatiche distanze. Con tempestività se ne è occupato anche Gad Lerner, nella sua trasmissione l’Infedele, sulla 7, televisione controllata da Telecom Italia.
Entrambi gli episodi ci dicono come il lavoro sui fatti – e non sui pettegolezzi – condotto da Mucchetti abbia preso nel segno: il sindacato di controllo del gruppo Rcs (che edita il Corriere) e Pirelli, azionista di controllo Telecom Italia, sono infatti due degli obbiettivi polemici del libro e se hanno deciso di non far finta di niente, vuol dire che il libro dirà forse cose contestabili, ma con un’alta dose di fondamenti.
Le 182 pagine sono idealmente dedicate a un hacker sconosciuto, che Mucchetti non conosce, ma di cui immagina i connotati. E’ colui che agli inizi del novembre 2004 cerca di entrare con un trucco nel suo computer in redazione e, nella stessa occasione, in quelli di Vittorio Colao, da poco nominato amministratore delegato del gruppo e di altri dirigenti, come Colao provenienti da Vodafone Italia. L’attacco informatico veniva da computer stranieri, attivati però dall’Italia dalla solita squadra Tavaroli in Telecom Italia e le indagini sono ancora in corso. Tavaroli è in carcere dove presidia i segreti, non si sa se per non aggravare la sua posizione o per coprire altri. Diranno i giudici, se potranno.
A quell’incursore abusivo e a tutti noi Mucchetti spiega dunque cosa avrebbe potuto trovare nel suo computer: un insieme ben ordinato di folder chiamati per esempio: Cartella Albertini (il direttore-proprietario del Corriere silurato dai Crespi per piegarlo al regime fascista), Cartella Azionisti Rcs, Cartella MTP (Marco Tronchetti Provera), Cartella Proprietà Ideale (dei quotidiani) eccetera. Non sono però rivelazioni sconvolgenti, non ci sono segreti particolari, né dossier riservati, ma solo il paziente incrocio di studi e ricerche su fatti noti della finanza, riscontrabili soprattutto nei bilanci societari. Le stesse cose del resto che Mucchetti continua a scrivere settimanalmente sul suo giornale.
Sono però cifre scomode, come quelle che consentono alla famiglia Agnelli a mantenere il controllo della Fiat, dando mandato alle solite banche d’affari, pronte a tutto in cambio di debito onorario, a comprare segretamente azioni per conto loro, fidando nella risalita. O come la fallimentare conquista di Telecom Italia da parte di Tronchetti Provera, al prezzo di bruciare miliardi sia degli azionisti Pirelli, che del colosso telefonico. Doveva essere l’erede di Gianni Agnelli, cioè l’industriale italiano per eccellenza, ma quell’obbiettivo è ormai del tutto mancato.
Sono anche analisi in controtendenza: la ricostruzione dell’estate 2005, all’insegna di Fiorani-Ricucci e di Unipol-Bnl contrasta con tutte quelle allora scritte: Ricucci non fu mai un serio pericolo per il Corriere, anche grazie a un codicillo che il notaio Marchetti saggiamente aggiunse al patto di sindacato e che l’allora consulente Guido Rossi suffragò di un parere legale. La supposta scalata semmai servì a rafforzare, ma del tutto provvisoriamente, l’unità dei principali azionisti, che pochi mesi dopo sarebbe tuttavia deflagrata, portando al licenziamento (vestito da dimissioni spontanee) di Vittorio Colao. Se per caso Paolo Mieli lasciasse per la seconda volta la direzione di via Solferino, la cosa non andrà letta allora, sembra di capire, in termini di linee editoriali o di posizionamento politico, ma semmai guardando allo scontro Intesa-Capitalia. Della vicenda Unipol l’autore segnala sì le scorrettezze gravi di Consorte, ma anche la minaccia per i poteri economici prevalenti che un quinto polo economico e finanziario avrebbe costituito. Il tentativo di collegare le due vicende fu allora tutto politico, mosso soprattutto dalla Margherita, in esplicita guerra ai Ds, con Fassino stritolato nel mezzo da intercettazioni illegali e illegalmente diffuse.
Il cancro dei giornali italiani (Corriere e non solo) resta, secondo Mucchetti la proprietà, che di solito non ha fini editoriali, ma di lobby, ma soprattutto l’indebita presenza delle banche, le vere padrone. Da qui il sogno (ma è davvero tale?) di testate quotate in borsa con azionariato diffuso, ma anche dotate di un’Azionista Speciale, fornito di una sola azione ma con larghe possibilità di intervento a garanzia della totale indipendenza. Solo che lo volessero, gli azionisti di Rcs potrebbero farlo, imitando esperienze straniere come quella dell’agenzia Reuters. In tal caso, dice Mucchetti, passerebbero alla Storia, ma la sensazione, purtroppo è che preferiscano pensare «alla cronaca dei loro personali interessi».

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2 Risposte a “Il giallo del giornalista spiato”

  1. […] le indiscrezioni sul nuovo assetto manageriale, che hanno per protagonista, tra gli altri, anche lo spiato Colao, allora amministratore delegato […]

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